Diario in cammino#1 da Portoscuso a Cagliari

di Alessandra Licheri.

Iniziamo un breve racconto del nostro ‪#‎camminoacuncordu‬ attraverso la Sardegna.

in cammino

La partenza è da Portoscuso: anticamente Puerto Escuso, etimologicamente “porto nascosto”: di qui iniziamo il nostro cammino alla ricerca della Sardegna più nascosta.

Lo abbiamo già definito un “cammino sentimentale”, perché è alle emozioni che questa terra e i suoi abitanti sanno suscitare che ci affideremo nel corso di queste cinque settimane a piedi attraverso l’isola.

Di buon mattino lasciamo l’abitato di Portoscuso, per addentrarci nell’area industriale, dove percorriamo chilometri tra impianti e capannoni, per lo più deserti.Già ieri sera abbiamo avuto modo di vedere un documentario sulla difficile situazione in cui versano gli operai dell’ALCOA e oggi arriviamo all’impianto e incontriamo due lavoratori che ci mostrano il luogo che hanno attrezzato per il presidio che dura ormai da un anno e mezzo, da quando la multinazionale statunitense ha chiuso i battenti e si è aperta una lunghissima trattativa per cercare di rilanciare l’attività produttiva. Attendono i compagni per il cambio turno al presidio, dopo aver passato qui l’ennesima notte.

Alcoa

Il Sulcis vive da tempo una crisi profonda dalla quale non pare sia possibile uscire senza restare impigliati nel retaggio di un modello di sviluppo miope che ha visto il susseguirsi di decenni di scelte industriali devastanti per il territorio e ora nei volti e nelle parole di queste persone capiamo quanto possa apparire complessa e lontana una soluzione. Ma c’è comunque speranza nelle loro parole e ci salutiamo con un augurio di buona sorte.

in fila

Il nostro cammino procede alla volta di Carbonia, città nata in epoca fascista per garantire al regime l’approvvigionamento energetico basato sul carbone, negli anni dell’autarchia. Qui incontriamo Matteo che ci accoglie nella sede del circolo Zorba il gatto, dove trascorreremo la notte. Qui veniamo a sapere che altri migranti sono arrivati a Carbonia, più bisognosi di attenzione di noi e la cittadina si sta attrezzando per dare loro accoglienza. Quella che Matteo riserva a noi è comunque fantastica: solo il fatto di avere dell’acqua e delle birre fresche in frigo è per noi un toccasana.

A Carbonia visitiamo la Grande Miniera di Serbariu, ora trasformata in Museo del Carbone , dove abbiamo modo di scendere nelle vecchie gallerie minerarie e “toccare con mano” quali erano le condizioni di lavoro e di vita in quella organizzazione altamente strutturata che era la miniera. “Minatore” è un termine generico – ci spiega Mauro Villani, il direttore del museo – in realtà ci sono almeno una settantina di ruoli differenti, ma, è anche un termine identitario forte, un destino: chi è “minatore” lo è per tutta la vita. Una vita spesso breve e in condizioni drammatiche fino a un’epoca non così lontana nel tempo: sono i nomi dei nostri nonni che compaiono nei registri della miniera: qui si entrava a lavorare anche a 12 anni, si lavorava a cottimo: una squadra era composta di solito da 4 minatori e aveva un minimo di quantità di carbone giornaliera che doveva estrarre e in base a quanto produceva veniva pagata la squadra; al disotto di una soglia minima si poteva anche essere non pagati o peggio, licenziati.

in miniera

Restiamo colpiti dalla durezza delle regole della miniera: dai documenti ufficiali risulta che in caso di morte di un minatore per qualche incidente (e veniamo a scoprire che sono più di 300 i morti per incidente negli anni di attività della miniera) i compagni di squadra erano comunque tenuti a non interrompere il lavoro e a finire il turno, pena il licenziamento. E’ bello sapere che oggi i giovani di Carbonia scelgono di sposarsi in una sala della Miniera proprio per un tributo a questi nonni che non hanno magari mai conosciuto.

Dopo aver sentito il rumore assordante dei macchinari del sottosuolo, usciamo nel silenzio dei nostri pensieri. Continiamo a camminare in terra sarda, affascinati dai paesaggi mozzafiato, i colori accesi, i profumi intensi ma anche consapevoli che qui bellezza e dolore convivono da tempi immemori e sotto i nostri passi si può “ascoltare” la voce di un mondo intriso di sofferenza e fatica.
sparsi
Un’altra miniera ci attende nella tappa successiva: Miniera Rosas. Un tempo un borgo minerario in cui abitavano circa 700 persone, in cui estraevano e trasformavano diversi minerali, oggi trasformato in un ecomuseo sotto la tutela dell’UNESCO. Il sindaco Gianfranco Tunis – che ricopre la carica ininterrotamente da 30 anni – ci racconta del lungo e paziente lavoro della sua amministrazione volto a salvare l’impianto dall’abbandono per trasformarlo in un centro museale. Qui oggi è possibile vedere alcune macchine in funzione (ad esempio quelle destinate alla frantumazione del materiale estratto) e capire il ciclo di raffinazione del materiale che, come ci spiega Pierluigi, avveniva mediante l’utilizzo di veleni quali il cianuro e l’arsenico. Scopriamo così che quelle aree prive di vegetazione che abbiamo incontrato lungo la strada per il villaggio altro non sono che depositi degli scarti della lavorazione… Il villaggio dispone anche di un ostello, un ristorante e bar, e una sala per incontri dove abbiamo modo di assistere ad un reading de Le voci del tempo, che hanno scelto di portare in questo luogo la storia e il pensiero di Adriano Olivetti, ricordandoci così che esiste la possibilità di un modello di sviluppo diverso.
siliqua
Il giorno seguente dal villaggio minerario camminiamo lungo il tracciato della vecchia linea ferroviaria ora dismessa fino ad arrivare alle pendici del Castello di Acquafredda, luogo magico da cui godiamo di un panorama a 360° che abbraccia la piana di Siliqua, immersa nella luce dorata del tramonto.
Qui incontriamo Matteo, membro della cooperativa Antarias che negli anni si è data da fare per recuperare questo importante monumento, che giaceva dimenticato, come la bella addormentata, in un groviglio di vegetazione. Ora sono stati ridefiniti i sentieri di accesso, mentre gli scavi sono ancora in corso ma già il castello è aperto ai visitatori: e qui sulle rovine che sovrastano la piana ci godiamo la musica e le parole di Fabrizio De Andrè in un tributo de Le Voci del tempo, organizzato dall’Associazione Pubblico 08 e Associazione Malik.
Il mattino seguente giriamo tutto intorno alla collina sulla cui cima è il castello, ammirandolo da tutte le angolazioni e man mano che ci allontaniamo nella pianura, la sua vetta ancora ci accompagna per un lungo tratto.
camminatori e cipressi
Anche oggi il nostro cammino procede su sentieri, attraverso campi e sterrati alla volta di San Sperate, dove ascoltiamo la suggestiva voce delle pietre nel parco museo di Pinuccio Sciola, ammiriamo i tanti murales di questo paese museo, ma sopratutto riceviamo la calda accoglienza di un’intera comunità che ci mostra i suoi artisti, poeti, attori, scrittori, con anche una testimonianza toccante di Francesco Abate nel ricordo di una giovane donna scomparsa prematuramente. Una serata di incontro e di scambio nella quale si parla, si ascolta, si racconta, si condivide il cibo e il vino nel meraviglioso contesto della corte della sede di Antas Teatro.
A malincuore lasciamo questo luogo alla volta di Cagliari per una tappa che si rivela impegnativa e lunga più del previsto: ci accorgiamo che, semplicemente, non è previsto l’arrivo in città a piedi: impieghiamo un paio ore e svariati km extra per riuscire a oltrepassare in sicurezza la statale, ma alla fine eccoci a Cagliari!
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