Lettera a un amico che continua, da Giacomo, che ritorna

Di Giacomo D’Alessandro

 Pavia, 13 giugno 2011

Caro amico mio,

quando svoltata la curva, quel giorno tra Siena e Ponte d’Arbia, ho visto un insperato gruppo di camminatori, per giunta con un tricolore, i miei occhi già cercavano una sagoma in particolare, che non è stato difficile individuare.

Quella corsa, quei sorrisi e quell’abbraccio che – tu mi dici – è ben documentato fotograficamente (ma non lo è l’emozione e la gioia che ci esplodevano dentro) sono state per me quell’indicibile “sono tornato a casa”.

Ci sono luoghi in cui accadono cose che dicono al tuo cuore, “devo essere lì”, che ti insegnano il momento e il luogo per essere “al tuo posto nel mondo”, tanto da farti scombinare ogni scaletta di priorità, ogni senso di responsabilità e pigrizia per fare quello che dom Helder Camara ha magistralmente descritto: “partire è uscire da sé”. In questo gesto rivoluzionario e di rottura, che si osa fare, già stanno i semi della bellezza che può sbocciare nel viaggio, per diventare frutto maturo nel ritorno.

Ecco, il ritorno. Luogo immenso e completamento del viaggio, sua sublimazione concreta nel grande sentiero della propria vita, cammino decisivo e solitario in cui disfare, inventariare, scoprire e lasciarsi emozionare da ciò che nello zaino, dal viaggio, si è accumulato di inedito.

Il ritorno. Chi parte non per fuga, né per amore di sport, nemmeno per propositi unicamente astratti e spiritistici, chi parte non per guadagno sicuro, chi parte per vivere e diventare uomo e fratello, scoprire il mondo e la comunità, intessere coi propri passi un orizzonte che chiama e non va più fatto aspettare, costui accetta il rischio di perdere la propria vita per trovarla davvero. Di esporre se stesso, sicurezze e rabbie, sofferenze e convinzioni, all’inaspettato del viaggio-incontro. Si può avere fede, giorno dopo giorno, che la via non tradisce. Che il viaggio non lascia soli. Lo può testimoniare il nostro impensato amico Immanuel, che si è messo in strada per cercare il suo tempo, per conoscere se stesso, per poter discernere e decidere della sua vita, e ha scelto di farlo da solo, tra i pellegrini per Roma e per Gerusalemme. Solo, Immanuel, non lo è stato. Ha trovato con chi condividere un po’ del suo cammino. E’ come se la sua ricerca già desse frutti, se la sua scommessa fosse vinta. La sua vita, il suo viaggio, saranno forse uguali a prima? E non forse più ricchi di cose nuove e doni impensabili?

Tu ne sai qualcosa. Direi molto. Forse più di tutti. Quanto ti si è messo in moto, dentro, da quando sei partito? Quanti volti hai approcciato, quante voci hai memorizzato, nella fatica dei passi sotto il sole, quanti nomi hai chiamato, quanti corpi hai visto camminare, e poi lasciare, a loro tempo, per forse non ritornare più?

E’ dura per chi non può continuare con voi. Ma per chi resta? Quanto è dura affezionarsi e stare bene, trovare compagni di viaggio straordinari e poi restarne privi? Dovendo sempre, però, andare avanti, voi. Il viaggio disperde il nostro cuore quanto il nostro ardore di scopo iniziale. Disperde il nostro scopo. Che ben presto, capiamo, non è più propriamente la meta, bensì il cammino stesso. Il “come si cammina insieme”, il calderone degli incontri e delle condivisioni, dei pezzi di vita e d’anima che gli altri ci portano, la fatica, successi e cadute, della conciliazione delle nostre diversità perché si parta, si cammini e si arrivi col sorriso nel cuore, con una buona parola per gli altri, con un arricchimento fresco per noi. Sapendo a fine giornata di non aver fatto solo dei passi geograficamente accostati ai passi degli altri. Ma ben di più.

***

Veniamo dalla notte buia
notte fredda e scura
viviamo nella notte buia
e in essa moriremo
lottiamo per il pane e le rose
lottiamo per una giustizia
ci rispondono coi cannoni
morte e distruzione…

Sono le parole de La Lunga Notte di Cisco…

Le ho pensate per te, per il cammino interiore che questo viaggio ti ha suscitato, in merito alla tua vita, all’impiego del tuo tempo e delle tue energie. Ogni uomo è chiamato a scoprire i suoi talenti, le sue capacità, predisposizioni, e a non tenerle per sé, mettendole a disposizione degli altri. Specie dei più deboli.

La maggior parte del nostro mondo vive nella lunga notte. Quelli dal futuro negato, quelli che hanno qualcosa da piangere, quelli che vengono lasciati a vivere nell’ombra. Con tutte le realtà, le storie e le strutture in cui ciò si manifesta.

Mi hai raccontato del tuo viaggio tra queste persone, delle tue buone battaglie contro chi relega i più piccoli nelle ombre della notte. Ora hai avuto il coraggio di metterti in strada, di esporti alle correnti e agli sconvolgimenti di un cammino con altri. Un giorno al ritorno, potrai respirare l’inesprimibile commozione che tutto ciò ti ha portato, lasciando uscire quelle lacrime che ad ogni partenza significativa – mi dici – ti salgono. Saranno lacrime di gioia, lacrime di consapevolezza. Lacrime di verità.

Non avere paura. Non sei stato fermo. Non hai reso la tua vita una routine dove tutto è previsto e deciso, dove i giochi sono fatti. Il coraggio giorno dopo giorno di manovrare i tuoi piedi dolenti, di buttare il tuo corpo in strada, la tua mente e il tuo cuore esposti a venti e correnti, impatti, cadute, bonacce e sollievi, dicono di te che non ti sei fermato. Che puoi fare tutto ciò che vuoi. Che sei un uomo libero.

In questa libertà c’è anche la possibilità di cambiare, come hai detto già in questi giorni, l’approccio alla tua vita.

***

Dura la vita, che vita dura
sulla strada sempre dalla parte scura
Dura la vita, che vita dura
passare tutto il tempo dalla parte scura
Dura la vita, che vita dura
camminando sulla strada dalla parte scura!

Non penso di fare della retorica o della superbia nel dire che ci sono persone chiamate a stare “dall’altra parte”, dalla parte dell’umanità che arranca, che subisce, che ha sete di giustizia. Tu sei fra queste. Spero di mostrare con la mia vita e le mie scelte di esserlo anch’io. Ci sono persone che, nonostante tutto, si sentono sempre una innata responsabilità nei confronti del mondo, della comunità umana. Persone che per vie diverse, origini lontane, percorsi ed esperienze, insegnamenti e testimonianze unici e irripetibili, si mettono “dalla parte scura” del cammino, consapevoli di lottare “con le cerbottane contro i carri armati”, come dice un mio amico fotografo.

In nome dei più deboli, degli sfruttati, della nostra coscienza, dei diritti, della storia, ma soprattutto di un credo comune, il credo autentico di ogni tempo e luogo, che supera le religioni e le culture; la fede nell’uomo. In nome di una felicità che non possiamo sopportare di possedere in privato a scapito di altri, altri relegati dal nostro sistema “dalla parte scura” della strada.

Noi camminiamo con loro. Per loro. Per noi. Per essere persone vere, autentiche, che sanno amare, che credono nella libertà, verità, giustizia. Che diventano portatrici di fratellanza.

Cerca, amico mio, continua a cercare il tuo modo per essere felice, sereno, realizzato, pieno. Questo non esclude per forza di continuare la tua missione dalla parte scura. Si può camminare in questa fatica continua essendo prima di tutto felici per sé, in sé? Io credo di sì. Me lo hanno testimoniato alcune persone che – a loro modo e secondo la loro strada – hanno dato la vita per il mondo. Continuano a farlo. Da fuori questo loro resistere, sognare, avanzare è letto quasi solo come sacrificio, questa parola opprimente e da fuggirsi. Ma “sacrificio” vuol dire originariamente “fare qualcosa di sacro”, ovvero di “inviolabile”. Qualcosa di incisivo come segnato a fuoco sulla pelle del mondo. Si tratta del nostro modo di camminare, che può essere qualcosa di impercettibile e fine a se stesso, o qualcosa che incide, che cambia.

Cambia noi stessi e il nostro modo di stare nel mondo, cambia quello degli altri. Camminare dalla parte scura è la gioia di scegliere, ogni giorno, per ogni passo, di rinunciare al benestare privato, allo schema di sistema, alla gloria di carriera, consenso, trionfo, di superiorità, di ricchezza. E’ una scelta, in felicità. La scelta apparentemente di una rinuncia, in realtà di un guadagno molto più grande di qualunque altro. Il viaggio ce ne dona a tratti l’assaggio, di questa ricchezza che la nostra scelta disvela.

E dunque cerca. Con il tuo coraggio e i tuoi grandi doni, la tua capacità di affetto che tutti accoglie e rallegra. Cerca questo stare con gioia, in te stesso e con gli altri, rinnovando comunque la scelta della parte scura.

Non al denaro, non all’amore, né al cielo. Perché possiamo trovarci al termine dei nostri giorni felici, sereni di fronte all’ultimo viaggio; e un ridere rauco, e ricordi tanti. E nemmeno un rimpianto.

Camminando sulla strada sempre dalla parte scura. Da uomini vivi, e felici.

Credo anch’io che questo mondo non ha bisogno di eroi, ma di testimoni.

Di persone pronte a morire per esso. Ma soprattutto capaci di vivere per il mondo.

Di persone che parlino con la propria vita.

Cammina, cammina. Io sono con te.

Condividi > Share on FacebookTweet about this on TwitterShare on Google+Share on TumblrShare on RedditEmail this to someonePrint this page

3 thoughts on “Lettera a un amico che continua, da Giacomo, che ritorna

  1. antonella lazzati scrive:

    Caro Giacomo,
    scrivi!
    Hai il dono di toccare il cuore di chi legge con la leggerezza della piuma che sollevata de un filo di vento produce un uragano… questo è ciò che ha provocato in me.
    Forse, sicuramente, liberando emozioni intrappolate… acqua per secoli sepolta in una falda sotterranea che improvvisamente trova il passaggio per risalire: torna alla luce, ricomincia a fluire, energia pura nuovamente libera, potente, inarrestabile.
    Ti abbraccio forte e sono grata alla vita che ti ha fatto e che mi ha permesso di incontrarti.
    Antonella

  2. roberta salardi scrive:

    Ho la stessa impressione di Antonella e ti esorto anch’io: scrivi!
    E grazie per le tue riflessioni.

  3. angelagiulia scrive:

    Mi sono ritrovata nelle tue parole.
    Anch’io camminavo fra persone subito diventate Amiche e quasi non mi accorgevo più di mettere un passo dietro l’altro. Accusavo stanchezza, ma era una buona stanchezza, che ostinatamente mi spingeva verso la meta.
    Ho capito delle cose di me che ancora non avevo sfiorato e ne faccio tesoro.
    Grazie.

Comments are closed.