“A che cosa serve tutto questo?”

Antonio Moresco

Piccola riflessione a pochi giorni dalla prima partenza di Stella d’Italia.

Ci siamo quasi. Fra pochi giorni ci sarà la prima partenza, quella da Messina, per indicare che anche la Sicilia, afferrata per un suo lembo, farà parte di questa Stella, prima dell’arrivo a Reggio Calabria, della conferenza con il Sindaco e con Legambiente e poi della risalita a piedi attraverso l’Aspromonte e le altre strade e gli altri sentieri della Calabria.
Il lavoro da fare ci sembra ancora molto. Molte cose -nonostante l’impegno profuso- stanno girando soltanto adesso. Molte altre partiranno e si preciseranno quando ormai saremo in cammino. E’ proprio in questo momento, mentre siamo a ridosso della partenza, che l’impresa ci appare così soverchiante rispetto alle nostre piccole e volontarie forze. Questa cosa che stiamo mettendo al mondo è una scommessa, è uno sbilanciamento, ma questo è proprio il momento di scommetere e di sbilanciarci. Persone sconosciute che si presentano con lo zaino in spalla in qualche luogo mai visto prima e che cominciano a camminare insieme agli altri come dentro uno stesso sogno.
Ogni tanto qualcuno ci irride, ci dà degli ingenui, ci offende, da una parte e dall’altra. Proprio perché questa è una cosa inedita, non è schiacciata su una sola dimensione, si muove su un orizzonte più ampio, è un crogiolo in cui non si distingue un piccolo disegno consueto che rassicura. E allora il costume italico -soprattutto degli intellettuali e dei letterati- è quello di starsene nel proprio cantuccio e nel proprio piccolo cerchio definito e protetto e di produrre solo delle battutine. Perché loro sono fatti così, solo chiacchiere e distintivo… Qualcun altro ci chiede la piccola motivazione contingente, che darebbe loro una piccola spiegazione a tutta questa salutare follia. Perché hanno bisogno di vedere il piccolo disegno, politico, culturale, da riportare dentro un qualche loro piccolo schema e allora tutto sarebbe chiaro, perché già conosciuto e digerito. Non l’indefinito, non lo spostamento, il traboccamento, il crogiolo dell’invenzione. Se non vedono quella piccola cosa lì entrano immediatamente in sospetto, si mettono in difesa. Ma questo non è il momento di difendersi, di avere paura.
“A che cosa serve tutto questo?” ci chiede qualcuno “Che cosa siete?”
Se noi facessimo solo una marcia di protesta ci capirebbero, se camminassimo solo per aumentare il nostro benessere fisico personale o per fare un turismo di tipo aggiornato e responsabile ci capirebbero. Perché hanno bisogno di vedere la piccola identità definita e già contemplata nei loro schemi. Ma è proprio l’indefinibilità, la potenzialità e l’irradianza la forza di questa impresa. Uno spostamento non schiacciato sul moto perpetuo della sola reattività e della sia pur giusta protesta (che nessuno di noi disprezza e che può sempre incontrarsi e moltiplicarsi anche all’interno del nostro cammino), ma qualcosa che tira fuori da noi stessi anche altre forze dormienti, che non ha la fretta e l’ansia di definirsi, un passo di lato verso qualcosa d’altro, verso obiettivi ancora da inventare perché non sono già dati, per ricucire l’Italia, e poi l’Europa,  ma non l’Italia e l’Europa così come sono adesso.
Per cui, anche quest’anno, non esibiremo obiettivi facilmente spendibili politicamente e mediaticamente. Ci sarà questo movimento prefigurativo che si irradia per cerchi concentrici e che si muove sul terreno dell’invenzione di qualcosa che ancora non c’è e non solo sul terreno dell’ingegneria politica e culturale ma che prende le mosse anche da forze fisiche, mentali e sentimentali insurrezionali. Perché oggi c’è bisogno anche di qualcosa che sfugga alla tenaglia di cinismo e disgusto che sembra stritolare ogni cosa, perché c’è bisogno di ripensare e di reinventare le basi stesse della nostra vita e del mondo e di forzarne i limiti che ci imprigionano.

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