Il mio grazie ai fantastici amici di SpeleoTrekkingSalento

di Tiziano Scarpa

Nei giorni scorsi ho camminato per sette tappe da Santa Maria di Leuca a Taranto. Le piccole e grandi esperienze che ho vissuto sono tante, e forse un giorno ne racconterò nei dettagli qualcuna, ma intanto mi preme descrivere una delle più intense: la condivisione con gli amici di Speleotrekking Salento. 

I componenti di Speleotrekking Salento organizzano da vent’anni escursioni e pellegrinaggi nella loro terra. Una delle loro soddisfazioni più profonde consiste nell’escogitare nuovi itinerari, connettere luoghi attraverso passaggi poco conosciuti. In questo modo hanno riscoperto monumenti, antiche tappe di pellegrinaggio e devozione, come per esempio l’erma di Santa Maria di Leuca, presso la quale i pellegrini depositavano le pietre che portavano sulle spalle: arrivati all’erma, ci si liberava della pietra come di un peso che gravava sull’animo. La compenetrazione simbolica tra esperienza fisica e atteggiamento spirituale è una delle caratteristiche che ha ispirato anche Stella d’Italia: la corrispondenza tra idee e comportamenti, espressa con un gesto continuato, impegnativo, e non immediatamente utilitaristico.

L’altra grande soddisfazione di Speleotrekking è conoscere e far conoscere la loro terra, che amano profondamente. Raramente, negli anni, in Italia, ho conosciuto persone così attaccate al loro territorio come nel Salento.

E poi naturalmente c’è la soddisfazione di mettere insieme le persone, di fargli vivere una fusione speciale attraverso l’esperienza unica, così semplice eppure così intensa, del camminare insieme.

Trovate qui il loro sito e la loro storia.

Hanno aderito a Stella d’Italia con la massima generosità immaginabile. Conoscono il Salento come le loro tasche, ma per questa occasione si sono mobilitati per studiare un percorso particolare.

Hanno perlustrato per giorni le vie e i viottoli, i varchi attraverso i campi coltivati e gli uliveti, le zone costiere percorribili a ridosso delle dune, le chiese e i monumenti irrinunciabili.

Dovrei ringraziarli uno per uno, menzionando tutti quelli che hanno camminato con noi.

Non posso farlo, ma lasciatemi spendere qualche parola su alcuni di quelli che hanno percorso tutte e sette le tappe.

Riccardo Rella ha un volto indimenticabile, è sempre di buon umore, e possiede quella che si potrebbe definire una parola potente, attiva, che sprona a superare le difficoltà senza darlo a vedere: non solo per la sua bella voce profonda, da attore consumato, ma per un umorismo positivo che ti dà forza nei momenti di spossatezza. Ci ha accompagnato a piedi, ma anche guidando la sua Fiat Regata del 1989 alimentata a gas, che faceva da supporto al gruppo trasportando gli zaini e da soccorso per i camminatori: “la mia ventitreenne”, come la chiama lui. Un’auto che in tutti questi anni ha percorso in lungo e in largo il Salento scavalcando qualunque genere di ostacoli e di sterrati, e che per me è un vero emblema dell’allegria della volontà, anche quando si è dotati di mezzi che a prima vista non sembrerebbero i più adatti alla bisogna.

Nelle tappe in cui non camminava insieme a noi ma era alla guida della sua “ventitreenne”, ogni quattro o cinque chilometri spuntava da sotto un ulivo, o all’ombra di una piccola chiesa, come un genius loci. Una delle sue caratteristiche sono quelli che io ho definito “i ritornelli”: nei suoi discorsi spuntano dei leitmotiven, dei motti o frasi a cui è affezionato, e che riassumono la sua filosofia di vita. Ne riporto due.“Nelle mie vene non scorre sangue di innocenti” sintetizza il suo vegetarianesimo convinto: a tre anni vide sua madre strangolare un pollo, e da allora non ne ha voluto più sapere di mangiare carne. Tiene fede al suo intento da settant’anni, visto che ora ne ha settantatré. E poi: “L’arte si apprezza a ogni età”, commenta sornionamente ogni volta che ha appena voltato la testa in direzione di una bella donna di passaggio.

Rita De Matteis ci ha raccontato e descritto con grande suggestione tutti i monumenti che trovavamo sul nostro cammino. È una donna dolce e volitiva, molto informata sulle opere d’arte e gli edifici storici della sua terra. Ti comunica un’idea della cultura diretta e sentita, mai intellettualistica, e quando ti descrive le antichità salentine riesce a fartele vivere come esperienze più che come fredde nozioni.

Il professor Ezio Sarcinella è l’erudito del gruppo, ha scritto La via dei pellegrini, un bellissimo volume illustrato edito da Speleotrekking Salento, che raccoglie una parte delle sue sterminate ricerche su – come recita il sottotitolo del libro – L’antico cammino leucadense. Ha quasi compiuto l’ottavo decennio di vita, è un camminatore formidabile e nei tratti che ho percorso al suo fianco mi ha sempre dedicato una quota del suo fiato prezioso e inesauribile, descrivendomi abitudini antiche, ma anche storie dei suoi antenati, e ingegnose tecniche personali per aumentare l’efficienza del corpo in marcia.

Una delle più sbalorditive punte di generosità, espressa senza ostentazione, l’ho vista mettere in atto da Fernando Alemanno, che non solo ci ha guidati in tutte e sette le tappe da Santa Maria di Leuca a Taranto, ma ha deciso pure di proseguire fino a Matera, mettendo in pratica quel detto evangelico che incita a fare due miglia con chi ti aveva chiesto di farsi accompagnare per un miglio soltanto. Anche lui ci ha fatto scoprire posti sorprendenti, come l’incredibile serie di ville di tutti gli stili, di un secolo fa, nella sua amatissima Nardò, e passaggi che non avremmo mai e poi mai potuto scovare da soli. Insieme a Riccardo, non ha mai smesso di portare un vessillo giallo su cui campeggiava da un lato l’emblema di SpeleoTrekking Salento e dall’altro la dicitura “Stella d’Italia”. Ha un passato aeronautico in Veneto (qualche volta se ne usciva con delle spiazzanti e impeccabili citazioni nel dialetto della mia regione), ma la vera passione della sua vita è l’escursionismo. È un singolare esempio di pugliese che, tutto sommato, al suo splendido mare preferisce le montagne, le alture, o comunque la terra interna, le campagne. I suoi baffoni e i suoi aneddoti, ma anche la sua discrezione affettuosa, ci hanno capitanati passo dopo passo dal primo all’ultimo chilometro, e anche adesso, nel momento in cui scrivo queste rapide impressioni, lui è ancora là, sulla strada, insieme ai camminatori di Stella d’Italia, che mette a disposizione la sua esperienza di cammino e di paesaggio.

Su tanti altri vorrei soffermarmi, ma riempirei troppe pagine. Tra quelli che hanno percorso tutte e sette le tappe fino a Taranto un posto speciale nel mio cuore occupa Salvatore Pareo, fabbro in pensione, che ha camminato con i suoi jeans e le sue camicie a mezze maniche, percorrendo decine e decine di chilometri in quella che aveva tutta l’aria di una normale tenuta da città. Nel suo dialetto saporito, ci ha raccontato le sue esperienze di lavoro, il giovamento fisico che ricavano dal cammino le sue articolazioni provate da una vita di lavoro molto duro. Salvatore per me è il simbolo di come Stella d’Italia, e in generale questo tipo di cammini e pellegrinaggi, dia la possibilità di conoscere persone che in apparenza vivono separate, sparse in mestieri e luoghi distanti, scoprendo che tutti quanti in realtà siamo uniti da qualcosa di inatteso e profondo.

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