I fili intrecciati

*Graziella Cucchiarelli

Nella fruttiera che ho davanti le pesche comperate da un paio di giorni mostrano già segni di freschezza superata.
Quelle raccolte nel campo, sulla strada tra Roggiano di Gravina e Lungro, da alberi bassi che non mostravano alcuna ritrosia verso la mia mano ladra le ho conservate nello zaino per giorni e quando ho mangiato l’ultima era più buona della prima: divorata per bisogno di freschezza in una giornata calda e faticosa.
Differenza fra frutta comperata al supermercato e quella raccolta dal suo albero.
Differenza che intessuta con mille altre, avidamente vissute nei più di trenta giorni che ho camminato da Reggio Calabria a Matera, ha creato una trama ricca e variopinta.
Tanti i fili intrecciati che legano persone a paesaggi, fatiche a incontri, rabbia a incongruenze, emozioni a riflessioni.
Nella terra calabrese degli Arberesh, a Cerzeto, ci arriviamo da Taverna.
Siamo ospiti dell’amministrazione comunale che ci mette a disposizione una bella, recente struttura realizzata dalla Protezione Civile per favorire incontri , eventi, ricorrenze, celebrazioni. La usano le associazioni locali.
La struttura antisismica con copertura in legno fiancheggia un ampio campo sportivo ed è corredata da spogliatoi, infermeria e ottime docce calde.
All’arrivo ci aspettano il sindaco, un assessore e un consigliere comunale.
Il programma prevede la visita prima della “vecchia” Cavallerizzo (il borgo che la frana del 2005 ha svuotato dei suoi abitanti) poi della “nuova” Cavallerizzo, (la new town  costruita subito dopo).
Il primo tratto in macchina, poi a piedi.
L’ingresso al borgo è sbarrato da un cancello. Lo aggiriamo e, costeggiando delle arnie che a quell’ora del pomeriggio sono presidiate da ronzanti api non proprio indifferenti (una si posa sulla testa di Antonio lasciandogli un pruriginoso segno), entriamo nella “zona rossa”.
“… tutto il borgo è zona rossa – ci spiega il sindaco – e io mi sto assumendo una grossa responsabilità a farvela visitare ….”
Affrontiamo con attenzione le spaccature e i salti causati dal cedimento della strada e …. case crollate, sprofondate, storte, squinternate sono assediate da erba e piante cresciute disordinatamente ma caparbiamente come a volersi riappropriare, finalmente, di quanto la forsennata ossessione di costruire, costruire, costruire ha loro espropriato.
Raccolgo una rosellina che, incurante della devastazione che la circonda, sembra offrirsi alla mia mano che la raccoglie per conservarla, unica cosa viva, in un libro.
“…. questa è una zona insicura perché franosa e perché attraversata da una pericolosa faglia attiva, continua il primo cittadino, impossibile dopo la frana mantenere qui il paese… Delocalizzarlo era l’unica cosa da fare per garantire sicurezza ai suoi abitanti… La  Protezione Civile ha individuato un sito non lontano che è stato scelto anche perché consente agli abitanti di affacciarsi alle finestre, di vedere il paese vecchio e di soffrire di meno per l’allontanamento.”
“… cosa succederà ora a questo borgo”, qualcuno di noi chiede.
“… si degraderà da solo…”.
Il verde sudario che ha già cominciato a diffondersi e posarsi lo farà con grazia, penso.
Il percorso inverso per tornare alla macchina è lento e silenzioso. Le domande sono finite. Frana e faglia attiva sono una congiunzione terribile. Che altro si poteva fare se non delocalizzare e far viver le persone in una zona sicura!
Conservo con cura la rosellina che ho raccolto. Una cosa viva in un borgo morto.
Le macchine si dirigono verso la “nuova” Cavallerizzo.
Sono aquilana. Il terremoto del 6 aprile 2009, ore 3.32 del mattino, ha distrutto la mia casa e cambiato in profondità la mia vita, il modo di affrontare e vivere la quotidianità.
Dopo sette mesi passati lontana da L’Aquila sono tornata quando mi è stato assegnato un appartamento in uno dei 19 insediamenti (chiamati New Towns) che l’allora Governo in carica e la Protezione Civile decisero di costruire per fronteggiare l’emergenza abitativa post terremoto.
Una scelta insensata, non necessaria e dispendiosa.
Si sarebbe potuto fare… ma non voglio parlarne ora, avrò altre occasioni.
Mi soffermo per un attimo su cosa ha significato per me e la mia famiglia andare ad abitare nella Piastra n. 3 (non una palazzina), nell’insediamento n. ( non un quartiere), denominato Progetto C.A.S.E. (Complessi  Antisismici Sostenibili Ecocompatibili). Le parole hanno significato, sono cioè segni, e pesano. Mi/ci siamo sentiti spaesati, ospiti, estraniati.
Non voglio rievocare Orwell e il suo “1984”.
Non voglio citare il film “The Truman show”.
Non voglio perché credo di essere ancora presente a me stessa e alla mia vita.
Non voglio perché so che tornerò nella mia casa, anche se non so ancora quando.
Gli abitanti della nuova Cavallerizzo non hanno la mia speranza di tornare a casa.
Io ho firmato un contratto annuale (rinnovabile di anno in anno) di comodato d’uso gratuito. Loro hanno firmato (quelli che l’hanno fatto) un atto di rinuncia alla loro “vecchia” casa e hanno accettato la “nuova”.
Entriamo nell’unico bar della new town.
Mentre bevo un caffè freddo noto due vecchietti. Siedono ad un tavolino con le due consumazioni: un caffè e una birra. Uno accanto all’altro. Non parlano.
Uno dei due attira la mia attenzione: capelli bianchi arruffati, occhi celeste chiaro fissati sul nulla, sigaretta accesa che si dimentica di aspirare in una mano, l’altra impegnata a grattare qualcosa all’estremità sinistra del labbro inferiore. Gli faccio notare che la sigaretta si sta consumando da sola e può scottarsi le dita. Ne approfitto per un  sintetico “ come va?” (il nodo alla gola me la chiude ad impedire le lacrime). Si scuote, gli occhi si illuminano e con bocca sorridente mi risponde “Bene!”.
Usciamo e ci dirigiamo verso la struttura che ci ospiterà per la notte.
La calda e confortevole doccia non riesce a togliermi di dosso il freddo che ho dentro.
Solo l’abbondante e generoso vino che accompagna la gustosa cena che Antonio ha portato da Cosenza per festeggiare il compleanno di Fabiola, la sua ragazza, e la conoscenza della nuova camminatrice Roberta riescono a scaldarmi la testa e il corpo. Il cuore, no.
Il giorno dopo, 2 giugno, torniamo alla “vecchia” Cavallerizzo accompagnati da Antonio, Massimo, Carmine e altri cittadini che hanno costituito l’associazione “Cavallerizzo vive” e che da anni ormai , rifiutando di  andare ad abitare nella new town, lottano per ritornare nelle loro case, poco o per niente danneggiate, nel loro borgo che ha subito danni soltanto nella sua parte più fragile e riprendere la vita che di generazione in generazione, dal ‘500 in poi ha dato vita e senso ad una comunità con un forte sentimento identitario.
Dopo una camminata di qualche chilometro da Cerzeto, raggiungendo prima Mangrassano e tornando indietro verso la vecchia strada chiusa al traffico, entriamo in paese. Le case sono intatte, le erbe, tagliate dai cittadini che giornalmente vi si recano, permettono un passo agevole e svelto, i tombini raccolgono l’acqua piovana senza sbuffi pericolosi, la chiesa (che visitiamo) custodisce intatta la statua del Santo venerato.
Incontriamo la signora Liliana, il figlio che vive con lei e un’anziana amica che va a trovarli attraversando, illegalmente, la zona rossa impiegandoci, da Cerzeto, anche lei a piedi, poco più di un quarto d’ora ( noi camminatori ci abbiamo messo due ore!).
Dopo due anni di esilio Liliana non ce l’ha fatta a stare lontana dalla sua casa ed è tornata a viverci ostacolata da tutti all’inizio e ora tollerata.
“… ho rotto cinque lucchetti che mi impedivano l’accesso, ma alla fine mi hanno lasciata stare… per il riscaldamento e la corrente elettrica spendo una tombola in taniche di petrolio, …ho comprato da poco un nuovo generatore che affianca  i due già in funzione… qui non c’è stata nessuna frana, solo uno scivolamento di una zona dovuto a infiltrazioni di acqua che in quella parte del borgo ha sempre sconsigliato di costruire… negli ultimi anni sono state date concessioni edilizie scriteriate che, ignorando quanto gli antichi sapevano sulla fragilità di quella zona, hanno consentito la costruzione di edifici che sono quelli danneggiati dallo scivolamento, solo quelli (una trentina) sono stati coinvolti, tutti gli altri ( 300 circa) sono intatti… ma si è deciso lo stesso di costruire un paese nuovo… io e mio figlio non ci andremo mai.
Ascolto, ascoltiamo increduli.
Guardo, guardiamo stupefatti.
Il paese sembra addormentato nel silenzio che lo avvolge ma è integro!
Le domande nella mente si accavallano. Perché la Protezione Civile ha deciso di delocalizzare un borgo che ha avuto danni “solo” all’11% del proprio patrimonio edilizio? Perché ha motivato la propria scelta sostenendo che frana e faglia attiva rendevano insicuro un paese costruito nel ‘500 e abitato fino al 2005?
Ne parleremo e ci confronteremo con i cittadini di Cavallerizzo che il 6 e7 luglio si ritroveranno all’Aquila con i camminatori di Stella d’Italia intorno ai “Fuochi dell’Aquila”. E saremmo contenti se all’incontro partecipassero anche gli amministratori attuali e passati che hanno accettato e condiviso le decisioni prese dalla Protezione Civile.
La visita a Cavallerizzo del 2 giugno scorso è stata lunga e ricca di emozioni.
Vicini all’ora di pranzo abbiamo accettato di bere un bicchiere di buon vino che un nostro generoso e nuovo amico ci ha offerto e Carmine ha procurato deliziose specialità locali che bene lo accompagnavano.
I brindisi e il chiacchiericcio che di solito animano le riunioni conviviali ben riuscite hanno per un po’ ri-animato un borgo da troppo tempo avvolto dal silenzio triste dell’abbandono.
Sarebbe bello fosse un nuovo inizio…

*Camminatrice e amica di Stella d’Italia

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