Teste viaggianti, teste sognanti

Salvatore Toscano

Con questo pezzo, letto da Ciro Carlo Fico, una delegazione di attori del Teatro Valle Occupato di Roma ha dato il benvenuto ai Camminatori della Stella d’Italia arrivati il 5 luglio a L’Aquila.

Parole di accoglienza e fratellanza a voi che venite dai bracci della stella d’Italia.

A voi percorritori.

A voi che siete stati macchine a vapore, muscoli, visione, dispositivi propulsori, carovane. A voi che siete il percorso, e la mappa, a voi che siete bussola e siete perduti per sempre, a voi punti cardinali, rose dei venti, a voi smarriti. A voi che sfuggite a qualsiasi sistema di localizzazione satellitare, a voi che non comparite sui radar e nuotate leggeri come polline dentro il flusso della transumanza.

A voi che la terra conoscete veramente sia perché avete appreso l’arte di cavalcare in sella al pianeta, sia perché calcate il suolo con le piante dei piedi che affiorano dai vostri scarponi scalcagnati.

Parole di accoglienza e fratellanza a voi turbine, a voi gambe e occhi, a voi teste viaggianti. A voi teste sognanti, energie vagabonde, a voi poeti d’asfalto, scienziati dell’andare, a voi che finalmente arrivate.

Parole di accoglienza e fratellanza a voi che qui siete accorsi al rallentatore, a voi che qui vi siete fiondati al rallentatore, a voi che al rallentatore avete sfrecciato sulle strade d’Italia, a voi bolidi al rallentatore, a voi saette al rallentatore. A voi che alla velocità della luce procedevate a passo di lumaca verso la vostra meta. A voi che nel centro di questo disastro avete visto, immaginato e sognato il nucleo di una stella, l’origine stessa della vita.

A voi che avete visto scorrere l’Italia ai vostri lati senza il filtro e la gabbia di un finestrino, a voi che non avete sfracellato con spietati parabrezza tutti i piccoli insetti che vi volavano incontro. A voi che stavate faccia a faccia con la troposfera, a voi che annusavate l’aria d’Italia che vi soffiava addosso, a voi che socchiudevate gli occhi al vento, che vi ingobbivate sotto la pioggia, e che avete lasciato al sole il capriccio di scolpire e intagliare le facce beduine, le facce moresche, le facce africane con cui siete finalmente venuti a farci visita.

A voi che avete battuto con le vostre scarpe su questa gigantesca pelle di tamburo che chiamiamo Italia. A voi percussionisti della convivenza, a voi metronomi dell’appartenenza, a voi concertisti di ghiaia e terriccio, a voi ballerini scalzi di tip-tap.

Parole di accoglienza e fratellanza a voi che avete rifiutato il volo, che avete abbandonato l’elica, scartato il motore, a voi catalitici, a voi, che avete respinto la ruota dei sumeri per mettervi in cammino di profilo come egizi sullo sfondo della infinita provincia italiana, sullo sfondo di campanili, piazze, cortili, strapiombi, mari, masserie, militi ignoti, semafori, ville comunali, pianure, muri di tufo, gallerie, serre, lampioni, viadotti, stadi, fontane, stazioni, terrazzamenti, monumenti equestri, cimiteri, cinte murarie, capannoni industriali… La lunga infinita provincia a forma di stivale.

Eccovi arrivati! Voi siete globuli rossi itineranti che attraverso le vene meno battute del paese ritrovate la via del cuore.

Questo è il cuore. Il centro esatto, il cratere, la faglia, l’origine del nostro minuscolo mondo. È da qui che possiamo cominciare a salvarlo.

Benvenuti a L’Aquila.

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