Voci di camminanti

Cos’è successo?
Che qualcuno ha pensato ad un modo un po’ originale, alternativo, forse eccentrico per celebrare il 150° anniversario dell’unità d’Italia?
Forse, ma soprattutto altro.
E’ successo che qualcuno ha colto un bisogno, un desiderio profondo e diffuso, e ha cercato di soddisfarlo in uno dei modi possibili.
Molti hanno risposto. E così ci si è messi in moto, perché insieme ai corpi acquisissero forma ed energia anche i pensieri, le emozioni, i sogni…

Ma di nuovo non è tutto qui. E’ successo dell’altro.
Chi ha camminato ha riconosciuto soddisfatti alcuni desideri, alcuni se li è trovati lì appena sfiorati e nel frattempo ha scoperto di averne addirittura altri ancora.
Ed è successo che non è rimasto lì fermo, in attesa di qualcosa che venisse da fuori: era in cammino e ha continuato a camminare!

Ecco perché l’ultima serata del Cammina Cammina può essere definita anche come la prima della Stella d’Italia. E non importa se poi le persone saranno le stesse oppure no. Una festa di chiusura, che generalmente si abbandona alla soddisfazione, al compiacimento, alla celebrazione della pienezza di ciò che si è vissuto, in realtà è diventata l’occasione per confrontarsi sui vuoti, per cercare nuovi percorsi, per verificare e riprogettare.
Forse perché non si voleva accettare che quella fosse davvero l’ultima serata.
O forse soprattutto perchè ciascuna delle persone che aveva camminato ha sentito chiaramente che non poteva più fare “solo” l’utente di un progetto: il sudore, la fatica, i sorrisi del cuore gli davano l’autorevolezza, il diritto e quasi il dovere di intervenire, di farsi un’opinione ed esprimerla.

Allora ecco cos’è successo: Cammina Cammina è esplosa, si è trasformata perché, pur con tutte le contraddizioni, le fatiche e gli sbagli che l’agire umano porta sempre con sé, ha realizzato ciò per cui era partita. Ha creato spazio per nuovi protagonisti del cammino.

Di fronte a questa maturazione c’è solo una scelta: rispondere con responsabilità e coraggio lasciando che Cammina Cammina cresca, si plasmi a seconda delle diverse sensibilità che vorranno darle forma.

Come?
Con uno sguardo alto, verso un desiderio più grande di te, che ti spinge fuori di casa, lontano dal tuo mondo, ad incontrare l’altro e a vivere quell’esperienza non ordinaria che è il Viaggio.
Ma un viaggio è tale anche perché finisce, perché hai abbandonato una casa alla quale torni. E allora è importante anche uno sguardo più piccolo, attento a scelte quotidiane che esprimano concretamente una coerenza e una consapevolezza che, sola, può garantire che il sogno non rimanga tale ma diventi storia, da costruire giorno dopo giorno, a casa, anche ben dopo la fine del viaggio.

Allora, mentre tutti noi camminanti vediamo che i piedi pian pian rallentano, il cuore si distende e l’immaginazione si prefigura Stella d’Italia… grazie! Grazie a chi ha sognato e poi camminato e quindi ancora sognato, fino ad accorgersi che forse non si può fare l’una cosa senza l’altra.
Giorgia

***

Mi sono unito al cammino quando il percorso era stato per gran parte fatto. Nella tappa conclusiva che portava i camminanti da S. Angelo in Formis a Napoli.
Arrivato da Roma al centro scout che ci ospitava ho trovato persone, uomini e donne, esauste e felici: occhi grandissimi in tutti.
Ho nitide in testa delle immagini: i ragazzi della Parocchia di S. Angelo in Formis in cerchio che cantano Battisti e quelli della Banda Baleno che suonano la Murga per le strade deserte di Scampia; il rullare dei tamburi, il battere della grancassa, l’avvicinarsi dei bambini curiosi e sfottenti, il sovrastarci dei palazzi. Ricordo le donne Rom che servono pietanze buonissime cucinate per noi.
Ricordo i ragazzi di Libera e Tina, del Comitato Don Peppe Diana di S. Ciprignano, che ci hanno ospitato nella villa sequestrata a un boss della camorra, adesso luogo d’incontro e di cura per malati mentali.
Ricordo Il murales colorato del casotto degli attrezzi a Casale di Principe che illumina la terra confiscata alla camorra coltivata biologicamente a pomodori e melanzane; i racconti delle intimidazioni e il sabotaggio dell’impianto idrico del pescheto; le future coltivazioni di grano per la pizzeria NCO, che invece che Nuova Camorra Organizzata, vuol dire Nuova Cucina Organizzata.
Mi ricordo tutto, e tutti. Tutto è stato inaspettato e straordinario.
Mi resta, invece che la nostalgia di un viaggio, il rimpianto per non aver camminato di più. Ma ho la sensazione di non essere arrivato “troppo tardi” perché non è finito il cammino.
Questa sensazione mi ha fatto venire in mente i versi finali di «East Coker» dai Quattro Quartetti di T. S. Eliot.
Li riporto perché da oggi saranno per me il ricordo delle persone e delle cose viste in questi due giorni, e spero siano un augurio per quest’impresa e per quelle future.

«Casa è il luogo onde si parte. A mano a mano
che diventiamo più vecchi, il mondo
diventa più strano, la trama più complicata
di morti e di viventi. Non il momento intenso
isolato, senza prima né poi
ma una vita che brucia ogni momento
e non la vita di un uomo soltanto
ma di vecchie pietre che non si possono decifrare.
C’è un tempo per la sera alla luce delle stelle,
un tempo per la sera al paralume ( la sera
con l’album di fotografie). L’amore
è più vicino a se stesso
quando il qui e l’ora
non importano più. I vecchi
dovrebbero essere esploratori
qui o la non importa noi dobbiamo
muovere ancora e ancora
verso un’altra intensità
per una unione più compiuta, una più profonda
comunione attraverso il buio freddo
e la vuota desolazione, il grido
dell’onda, il grido
del vento, la vastità delle acque
della procellaria e del delfino.
Nella mia fine è il mio principio.»

Filippo

***

“Cammina Cammina lungo il Belpaese, una carovana per ritrovare lo spirito d’Italia”.
Era il 26 aprile quando vidi per caso questo titolo online e lessi subito con estrema attenzione l’intero articolo.
“Voglio partecipare” pensai: e immediatamente chiamai Tiziano Colombi.
Non credevo certo che sarebbe stato l’inizio di un’avventura civile e civica,  di una sorta di rinascita anche interiore, di un ritrovato senso di comunanza, di un sentimento sereno eppur rivoluzionario nella sua semplicità: “Ce la possiamo fare”.
Scoprire lungo i tratti del percorso lo stesso modo di sentire, gli stessi sentimenti desideri sensazioni culture sensibilità in persone tanto diverse per età, provenienza geografica, estrazione sociale, percorsi lavorativi.
Ma tutte unite dal comune seppur non chiaramente espresso “Vogliamo e ce la possiamo fare, perché l’Italia c’è ancora, e noi la rappresentiamo. Ne siamo uno spaccato, non solo un simbolo”.
Il momento più “gratificante” è stato l’udienza al Quirinale: lì, nel luogo simbolo dell’Unità d’Italia siamo stati compresi nel nostro agire ed ascoltati, a lungo, con interesse. Siamo anche stati incoraggiati a proseguire gli anni venturi. Perché trasmettevamo passione, amore e rispetto per il nostro Paese.
Ora che il camminare è finito l’entusiasmo di ciascuno ha contaminato e contaminerà tanti altri: ognuno a suo modo ha riportato e trasmetterà qualcosa del tanto che ha ricevuto……semplicemente camminando.
C’ero anche io.
Grazie
Paola

***

Un grazie di cuore ad Antonio Moresco, anima poetica di Cammina, cammina, all’editore e a tutta la redazione del Primo amore. E’ vero ad essere idealisti si rischia di brutto. Si rischia di essere guardati con sufficienza a volte scettica e a volte divertita da sguardi spessi, appesantiti dal cinismo.
Ma si sa, la bellezza è negli occhi di chi osserva. E’ il nostro sguardo interiore che conta, è come ci percepiamo noi in relazione alle nostre azioni, pulite o sporche, alte o meschine. Fare pulizia, agire, a volte, diviene necessario. Quando si ha il coraggio di gettare luce sulle nostre zone d’ombra, quando decidiamo di muoverci, di alzarci e camminare, camminare… perché non ne possiamo più e perché la fatica del viaggio non è nulla rispetto al macigno che ci schiaccia l’anima e il senso d’impotenza che ci opprime, beh, allora termini come ingenuità, idealismo, desiderio, riscatto, utopia, assumono un colore nuovo, più rosso che candido, e si sciolgono dall’abbraccio mortifero del giudizio beffardo e arrogante, della rassegnazione, della sconfitta di chi giace aspettando che tutto scorra verso la fine. Un semplice gesto: camminare, camminare. Una marcia del sale per raccogliere nell’oceano delle nostre esistenze una manciata di speranza da lanciare in aria, un’azione poetica ricucire l’Italia, o forse solo rammendarla, una performance d’arte collettiva…
Mariangela

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Un passo è la cosa più semplice e scontata del mondo. Ogni giorno facciamo migliaia di passi, di cui molti senza senso e immotivati.
L’impronta di una sola scarpa spesso non lascia molte tracce. L’impronta di tanti che camminano insieme con uno scopo ed in un’unica direzione invece lascia un segno profondo. Da un passo ad una passeggiata, da una passeggiata ad un percorso di un giorno, da un percorso di un giorno ad una marcia per unire l’Italia.
La mia esperienza è stata molto bella. Sono arrivato la sera prima della tappa e sono stato accolto subito bene dal gruppo. E’ proprio il classico esempio di unione che fa la forza. Il gruppo è ovviamente eterogeneo persone di età diverse e di regioni diverse che condividono insieme la fatica di questo viaggio.
Il caldo, le buche e la fatica si fanno sentire chilometro dopo chilometro, ma quando uno cade in due sono pronti a sostenerlo. Se hai finito l’acqua c’è sempre una borraccia piena.
Lungo il cammino poi le storie si intrecciano e si può parlare con i fondatori di questa iniziativa, con studenti in cerca del loro futuro, con imprenditori, con naturalisti, con viaggiatori stranieri che si sono uniti lungo la strada e con le vecchiette che pensierose chiedono dove stiamo andando.
Il gruppo cambia ad ogni tappa, ma la forza e l’intensità dell’idea cresce.
Andrea

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«L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.»
Italo Calvino,
Le città invisibili

Beatrice, un’amica, una sorella, di gusti e di sentire, di lacrime e risate, Alberto, che mi ha anche fin troppo sopportato, ma che poteva anche farmi vincere un po’ a ping pong…o anche no, Erica e Chiara, due “bimbe” con l’animo da condottiere, Marina, un modello, un mix di forza e sensibilità, Fabi, a cui ho ammirato, tra l’altro, il coraggio, le idee chiare e il pragmatismo, Antonio, “semplicemente” vulcanico, Marcello, che ci sta provando a trovare quello che per lui non è “inferno”, i meravigliosi Gianni e Tina… meravigliosi! I ragazzi della “Brianza velenosa” Giorgia, Paolo, Lorenzo, Eglita, Chiara, Raffaella, Miriam (spero di non aver dimenticato nessuno), Dario e Pier, con cui ho parlato e riso per chilometri senza sentire la fatica, Mariangela, i ragazzi venuti da Roma per la tappa di Sermoneta, Antonella e Anna, di una grazia e dolcezza rassicuranti, Serena, a cui bisognerebbe costruire un monumento, Alessandra, che sono convinta di aver conosciuto in una vita precedente, Maurizio, Chiara e Andrea, Sabrina e Domenico, Roberto, Cristina e Daniele, Stefano e Santina, Roberto e Fabio, Vincenzo, Giuliana, Antonella, Fabio, Fabrizio, Giuseppe, Roberta, Gabriella, Giovanni, che è ancora capace di commuoversi, Jonny, Carla, Sergio, Paola, Tiziano, Antonio Moresco.
Le persone che ci hanno offerto conforto con acqua e riparo, la ragazza che da Roma sta ripercorrendo a ritroso la via Francigena per sistemare tutte le segnalazioni, Anke, che è di Berlino ma per amore è venuta a vivere in Italia, i due ragazzi che hanno fatto un pezzo di strada con noi e che camminavano fino a Terracina come “voto” prematrimoniale, il gruppo folcloristico che cantava a Sermoneta canzoni e stornelli per le nozze d’oro di una coppia di sposi, Michele, che conosce e ama la sua terra e ci ha indicato la strada quando ci eravamo persi, Piero, persona illuminata e illuminante, che mi ha commosso per la sua eccezionalità, per la luce dei suoi occhi, per il suo viso solare e pulito, per tutto quello che ci ha donato e avrebbe voluto donarci, la signora Carla, Ruggero, Giovanni, il professore di Storia e tutto il comitato di benvenuto di Terracina, che ci hanno accolto con un calore straordinario, il signore che parlava strano a Monte san Biagio, la fruttivendola di Sezze, anche se un po’, forse, ci ha fregato, chi mi ha dato ascolto anche solo per poco, chi mi ha camminato a fianco, le persone che ho incontrato e di cui non so o non ricordo il nome, gli altri camminanti che non ho avuto la fortuna di conoscere, e quanto d’altro la mia memoria purtroppo non riesce a ricordare.
Il chinotto, il voltaren, il compeed, i negozi di abbigliamento da trekking, tutti i contadini che hanno piantato gli alberi da frutto che abbiamo trovato sul nostro passaggio, la birra e il vino (da bersi con moderazione*).
Tutto questo e molto altro, un po’ in ordine sparso, è stato il mio cammino.
Tutto questo voglio far durare e a tutto questo voglio dare spazio.
Roberta

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Mi sono innamorata del cammino, delle persone, della libertà, della possibilità. Mi sono innamorata della vita senza ansie, preoccupazioni, programmi e incastri. E’ così naturale parlare con chi ti sta vicino, vivere insieme agli altri, condividere pensieri, conquistare ogni giorno, consapevolmente, un pezzo di vita. Camminare è vivere il presente che non vivo mai. Camminare è far cadere le sovrastrutture, spogliarsi di tutto, stancarsi, incrociare vita e bellezza, ritornare alle cose importanti e semplici. E come mi ha detto Antonio durante il viaggio di ritorno, il cammino è l’imprevisto costante ed in questo ribalta tutte le consuetudini quotidiane. E ci spiazza, e ci affascina.
Lulù

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“Mamma, sai che mi sono fatto Lucca-Altopascio a piedi? Quasi 18 chilometri!”
“Ma sei impazzito?”
Mamma, non lo so se sono impazzito.
Dici che dovrei stare a casa, a casa a studiare?
È quello che faccio sempre, però.
Dici che non c’è motivo di smettere proprio adesso, proprio adesso che ci sono gli esami?
Ma no, non dici niente, sono io che mi faccio domande da solo, come uno scemo o, sì, forse… forse come un pazzo. Ma che vorrà dire poi, pazzo?
Esami. Quante tonnellate una sola parola.
No, non dirò che partecipare al Cammina cammina sia stato un modo per scrollarmi di dosso un po’ dell’ansia per gli esami, perché non è vero, perché non basta, perché c’è molto di più dietro e dentro e dopo questa camminata.
C’è per esempio una lunga strada rettilinea, un fiume d’asfalto che costeggia il mondo: quel tanto di mondo che sta al di qua dell’orizzonte, di quella linea buttata sempre di là dallo sguardo come uno scherzo.
C’è per esempio una signora abbronzata e con accento straniero che accorre sorridente dalla sua casa, come un miraggio, portando in dono due bottiglie d’acqua gelata, domandando la ragione del nostro peregrinare.
C’è il piacere di nuove e vecchie conoscenze, di chi ti racconta le storie d’amore, di chi ha l’umiltà e il coraggio di ricominciare daccapo ogni giorno, ogni minuto, anche dopo ore di marcia, come se fosse sempre tutto ancora da decidere, come se ancora fosse sempre tutto a decidere; di chi ha sempre cose da dirti; di chi ti dice sempre le stesse cose, ma è sempre come se le dicesse per la prima volta; di chi te le dice in trenta lingue, e ti offre pure il caffè; di chi se non ti basta, leggi i suoi libri; di chi non te le dice e, per questo, sai che ci sono.
Di chi non c’è e vorresti che ci fosse, e cammini pure per lei.
Ci sono quei fili d’erba e quei giunchi che tremano al vento, tutti messi lì a guardarti mentre passi, strano gobbo camminatore e sudato, mentre fai risuonare la terra sotto le loro radici col tuo piccolo contributo tettonico. C’è quell’andirivieni di destini dietro ai cofani delle automobili, dietro quei volanti ostili, appaiono e scompaiono dietro gli angoli dell’universo.
C’è una guerra in atto: animali al volante e animali in piedi, vento e giunchi, suole e asfalto, sudore e pelle, nuvole e sole, respiro, sassi, carne calda, molecole su molecole, atomi contro atomi, chissà quanti formicai lungo le sponde dei nostri piedi, chissà quante mansioni le formiche operose, chissà quanti pensieri si incrociano nelle nostre testoline accaldate, chissà quanti occhi dietro le finestre a farsi domande, chissà quante cose abbiamo dimenticato, chissà quante ciliege rubate a quell’albero, chissà quante parole non spese, chissà quanti sguardi, chissà quanti ricordi e pentimenti lungo la strada, chissà quante sinapsi inventate, chissà quanti peli nei baffi, chissà quante foglie, quanti rami a forma di fulmine, chissà quanti baci segreti nell’ultima fila, chissà quanti salti nel buio quel gattino nei campi, chissà quanti cartelli e pali della luce.
Chissà quante italie mi sono perso, chissà quante italie non conoscerò mai.
Chissà quanti posti in cui potevamo essere, e dove non eravamo, dove abbiamo scelto di non andare: sì, questo ho imparato: che siamo noi a scegliere, uno per uno; che non siamo come ci dicono. Che una passeggiata non è andare da qui a lì, ma un insieme di passi messi in fila, uno dietro l’altro, come le parole di un romanzo, e che siamo sempre noi a dirigerli.
Sì, mamma, questo ho imparato: che vorrei che gli abitanti di questo Paese che tentiamo di ricucire capissero che anche loro possono, quando vogliono, decidere da che parte andare, fare ogni giorno il loro passo nella direzione che preferiscono, e ciò indipendentemente da questa o quella legge elettorale: possiamo decidere che la storia non è finita.
Roberto

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Ho partecipato alla tappa Monteriggioni – Siena e ho lasciato passare un paio di giorni prima di scrivere il mio commento perchè questa bella esperienza aveva bisogno di decantare un po’ dentro di me. Camminando il mondo prende un altro respiro, noi che partecipiamo prendiamo un altro respiro. E cambiano le prospettive. Mi sono sentita lontana anni luce dai soliti problemi della quotidianità. C’ero io, c’era la natura bellissima al cui ritmo ci eravamo adeguati e c’erano i miei compagni di viaggio. Una dimensione decisamente nuova (almeno per me) del fisico e dell’anima. Io non ho parlato molto, caratterialmente sono piuttosto un “orso” ma, passo dopo passo, mi arrivavano frammenti di conversazioni degli altri. E si parlava di sogni nel cassetto, dell’acqua presa nei giorni precedenti, delle persone incontrate durante il cammino, dei luoghi attraversati, del lavoro e degli hobby, ma anche di elezioni, di piazze tornate piene di giovani dopo tanti anni, del senso dello Stato che non appartiene ai nostri governanti. E mi sono resa conto che ciò che accomunava persone sconosciute e così diverse è il fatto che fossimo un gruppo di sognatori, di visionari per certi versi. E mai come in questo momento c’è bisogno dei nostri sogni che trovano un fondamento concreto anche nella stravagante iniziativa di andare a piedi da Milano a Napoli. Ringrazio dal profondo del cuore gli organizzatori e tutti i viandanti passati, presenti e futuri, perchè tutti noi con la nostra fatica, il nostro sudore, il nostro impegno diamo energia ad un’idea di Italia decisamente migliore di quella che ci tocca vivere nel momento attuale.
Buon cammino a tutti, buon cammino Italia.
Stefania

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Ho partecipato alle tappe Lucca – Altopascio e Altopascio – San Miniato, così, quasi per gioco. E dopo due giorni di cammino insieme, appena preso il treno per tornare a casa, mi sono accorto che li, tra quel gruppo di pellegrini, ho lasciato un pezzo di me. Non c’è giorno che passa in cui non vi penso in chissà quale situazione, paesaggio, discorso. Ho riscoperto me stesso, mi sono messo in gioco, ho riscoperto un mondo, ho capito quanto sia grande la mia terra, l’importanza del trascorrere del tempo in tutte le cose, l’importanza delle distanze. In automobile e in treno non si vede e non si sente nessuna di queste cose. E in più ho come l’impressione, che da quando Cammina Cammina è partito il 20 maggio, anche l’Italia si stia muovendo, si stia risvegliando da un sonno profondo. Spero che quando arriverete a Napoli, arriverete anche in una nuova Italia. Vorrei tornare a fare qualche tappa con voi, ma “purtroppo” ora torno sui libri. Tra poco devo dare un esame su un certo Moresco: scrive libri strani, ma soprattutto è a capo di una banda di incoscienti che cercano di riunire il paese coi propri passi!
Buon cammino a tutti!
Fabio Gigli

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All’arrivo alla casa della Rocca di Pietrasanta, dove abbiamo passato la prima notte di questo pezzo di “cammino”, ci attende una suora che senza troppe cerimonie ci scorta in camera. A momenti ci semina tra i labirintici corridoi di questo magnifico palazzo, sembra pure spazientirsi del fatto che non riusciamo a starle al passo, ingombrati e ingombranti come siamo del “pesante fardello” portatoci da casa. Quando finalmente la superiamo, perché è lei ad un certo punto che si attarda, un po’ affaticata, dopo l’ennesima rampa di scale, ci sembra di prenderci una piccola rivincita … tronfi di quell’effimera smania, retaggio del cieco vivere del “prima”.
E subito ricredersi, smentendo banali preconcetti.
E già ritrovarsi a “condividere”, anche con chi non te lo aspetti, il punto di vista sulle cose.
E anche stupirsi, appena scalfita la superficie, quanto altri, diversi da te, possano avere in comune con il tuo modo di “vedere”.
Abbiamo percorso tre tappe, “poi”, di questa via Francigena, Fulvio ed io.
Da Pietrasanta a San Miniato, 75 chilometri circa, in tutto 5 giorni.
In realtà alla fine di questo “viaggio”, se di “fine” possiamo parlare, mi sento come se di giorni ne fossero passati 1000 e di “strada” ne avessi fatta tantissima.
Ho visto persone arrivare e persone partire.
Ho incontrato persone che mi sembrava di conoscere da una vita e persone che ci sarebbe voluta una vita per conoscere.
Ho percorso chilometri, tanti passi, uno dopo l’altro, uno alla volta, senza “barare”.
Ho camminato sul rovente asfalto martoriato dal passaggio di camion e di automobili, su aridi sterrati, su scivolosi acciottolati, in mezzo a rovi, ortiche, spazzatura, perché la via Francigena oggi, è anche questo.
Ho camminato per ombrosi boschi e ho attraversato affreschi di città, perché l’Italia, soprattutto e per fortuna, è anche questo.
Ho fatto questo “cammino” seguendo minuscoli invisibili segnali, “affidandomi” agli altri, a chi come me ci sta provando a farla questa “strada”, a chi l’ha già fatta, a chi ha aiutato altri, come me, a farla.
Ho incontrato persone che ti salutano sorridenti, che ti offrono conforto con dell’acqua fresca, o un passaggio, se diluvia, ma anche chi ti guarda e gli leggi in faccia che pensa che sei matto, con questo caldo, o con questa pioggia, tutti questi chilometri, ma per fare poi?
Per fare? Per fare?
Per fare!
Per fare che ci si parli, ancora, tra persone.
Per condividere, gioie e dolori.
Per fare che sia, ancora una volta, “normale”, dare, senza aspettarsi nulla in cambio.
Per provare a ridurle le distanze che ogni giorno ci dividono, anche solo di un passo alla volta, che è meglio di niente.
Per scoprire di essere ancora in tanti ad avere speranze, ad avere idee, pensieri e opinioni, magari diverse dalle nostre.
Per imparare ad accettarle, ad avere rispetto, degli altri, dei luoghi.
Per sentire di fare parte di qualcosa, di grande.
Per riscoprire il calore di una stretta di mano, di sguardi, di occhi, vivi, trasparenti, sinceri.
Per trovarsi a scherzare, a ridere di cuore, fino alle lacrime, che non senti più stanchezza e dolori.
Per sentire l’esigenza di farne ancora, di “strada”, che ancora ti manca di arrivare e già pensi a quando potrai riprenderlo questo “cammino”.
Per sentire, una volta di più, di essere sulla “strada” giusta … ovunque ti porterà d’ora in poi il tuo “cammino”.
Roberta

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Dimenticare. A stretto giro è quello che facciamo. Dimenticare dove si vive. Dimenticare quando si vive. Dimenticare come si vive. Dimenticare il lavoro. Dimenticare di non averlo, dimenticare il perché. Dimenticare le ferite. Dimenticare il nostro male. Dimenticare ognuno a proprio modo. Dimenticare seppellendo tutto sotto tonnellate di passi. Dimenticare in silenzio, parola dopo parola. Da soli. Uno a fianco all’altro. Uno dietro l’altro. In fila indiana, in coppia, in gruppo, a serpente, a schiera, a frattale, a gregge, con e senza il cane da pastore. Dimenticare il passato, dimenticare l’oggi, dimenticare il brutto. Cancellarlo, obliarlo, coprirlo di impronte, calpestarlo, seppellirlo. Dimenticare, a stretto giro, d’essere rimasti fermi. Per troppo tempo immobili. Siamo volti, occhi, bocche, braccia, mani, gambe, caviglie e piedi. Siamo teste che dimenticano. Passo dopo passo. Dimenticano il dolore. Dimenticano il tempo perduto, dimenticate la terra tradita. Dimentichiamo gli scandali, le malefatte, le connivenze, le piccole ripicche personali, i tradimenti di Stato. Scordo i giorni. Cancello i cattivi odori. Ripristino l’aria.  A stretto giro, mandi a fanculo un mondo che non ami. A stretto giro, provi a perdonare. E a ricordare. Ricordare il più possibile. Ricordare l’erba, ricordare cosa vuol dire avere fame. Sentire fame. E avere sete, provare la sete, lasciarla salire e tenerla a bada, sulla punta delle labbra. Le vite degli altri. Tenerle a mente. Di chi si muove. Accanto a te. Insieme. Di chi si incontra. Di chi ci saluta, di chi vi rinfresca. Lungo il cammino. Rievocare morti, fermarsi a leggerli. Su mute stele. Dedicargli un pensiero. E riprendere il passo. Per ricordare la fatica, riscoprire il corpo. Sentirlo urlare. Vederlo soffrire. Piegarsi e piagarsi. Pregarti. Ignorarne le suppliche. Gli scricchiolii e le fitte. Vincerlo per sfinimento. Domarlo di imprecazioni. Parlagli in disparte, tenerlo buono, curarlo la sera, farlo dormire. Ricordarlo al risveglio. A stretto giro sfidarlo. Sul limite. Tra te e te. Tra due passi. Lungo un sentiero. Parlare d’amore. Di vecchie illusioni. Di freschi rancori. Di libri e miserie. Di domani. Di dopodomani. Di cosa farai. Di dove andremo. Di mangiari locali, di superalcolici. Di città attraversate, di campanili e di suore. Di voti ma laici. Di vecchie politiche. Di nuove energie. Di spinte dal basso. Di merda e di piscio. Di vecchie promesse, di uomini scaltri. Di come morire. A stretto giro, dividere il peso. Un chilometro a testa. Mezz’ora è più onesta. Sotto la pioggia, in un mare di sole. Tra l’erba più alta, contando le ore. Pensare pulito. E aspettare alle svolte il compagno più indietro. Indicargli la strada e poi farsi scortare. Incontrarsi a metà, e litigare, per strapparsi un abbraccio. A stretto giro, cercare qualcosa, guardando un po’ oltre, la differenza e l’ostacolo. Oltre la strada, oltre te stesso, l’appartenenza o la fede. Diminuire e aumentare, giorno per giorno, da dieci a cinquanta, di colpo quattro soltanto. Giurare un ritorno, sperare di farlo. Innamorarsi di un culo. Sotto un viso da angelo. A stretto giro, cucire un passaggio, come nonna con un vecchio calzino. Segnare un percorso. Unire due mete, pensare un Paese, come un paese. Ricordare l’Italia. Ma senza mai correre, perché non si fugge. Serrarne le piaghe. Alzarla. Sopportarne il risveglio. E cammina cammina. Lazzaro mio.
Pier Giulio

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Io ho cominciato a camminare da Pavia e fisicamente ho terminato a Fornovo, ma con lo spirito farò tutto il percorso Milano-Napoli. Esperienza bellissima che mi ha dato la possibilità di conoscere Laura, la quale mi ha incantata con i racconti dei suoi viaggi-cammini, conoscere Fabiola e Manuel con la loro gentilezza e purezza, Roberta e Fabiola (sì, due Fabiola) con la loro simpatia e la loro energia, conocere la giovane Marta di Cascina Cuccagna.
Grazie ad Antonio Moresco, Giovanni Giovannetti, Tiziano Colombi e Sergio per aver intuito che L’ITALIA aveva bisogno e ha bisogno di un popolo in cammino, per ritovare se stesso e gli altri.
Grazie a tutti i compagni di viaggio per i sorrisi e le belle parole che mi hanno regalato.
Vi abbraccio tutti.
Giulia

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Trovai questo testo anni fa lungo il Cammino di Santiago: «La gente intraprende il Cammino e lungo il percorso incontra altra gente. Passo dopo passo acrimonia, tensioni e rabbia si trasformano in simpatia, affetto e amore trasformando la “gente” in “persone”».

30 maggio: Pontremoli – Aulla. Essere pellegrini (o viandanti) significa semplicemente camminare. E accorgerci – facendo questa azione elementare – che stiamo riappropriandoci di valori che credevamo scomparsi. La condivisione, innanzitutto: si condividono la fatica, il percorso, le sensazioni e i sentimenti. E poi l’acqua e il cibo, i frutti selvatici raccolti nel bosco o il bicchiere di vino offerto da un contadino. Il pellegrino partiva con la bisaccia vuota nella certezza che qualcuno l’avrebbe riempita: una realtà ed al tempo stesso un’allegoria. Lungo il percorso siamo stati accolti e le nostre bisacce sono state riempite di cose materiali; ugualmente le nostre menti si sono predisposte all’accoglienza: di sentimenti, di gesti gentili, di saluti cordiali, di indicazioni e suggerimenti, di 4 (e anche 8) chiacchiere con “persone”.
Camminare è una scoperta: di noi stessi, degli altri, con “Cammina cammina” dell’Italia. Quell’altra Italia che non solo è possibile, ma che, un po’ nascosta, già esiste e che anche i nostri passi possono contribuire a far riemergere.
Paola Scarsi

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“Cammina Cammina”… per ricucire…
ovvero ho visto “pisani e livornesi” camminare insieme.

Quante persone ho incontrate nel breve tratto del mio cammino, provenienti da ogni luogo di questo Paese e tutte si sono rivelate come un bellissimo mosaico di accenti, di cadenze e tradizioni diverse le quali in modo naturale mi hanno accolto e dalle quali io “vecchio orso” mi sono lasciato coinvolgere percependo tra noi l’idea di un filo invisibile di valori che ci unisce ma non ci stringe in soffocanti spire ideologiche.
A chi mi chiede se ho partecipato a un pellegrinaggio dico di no, a chi mi chiede se è un’impresa sportiva rispondo no, rispondo che è un’impresa del pensiero, l’idea che diventa azione, la realtà di questo andare da Milano a Napoli: mettersi in cammino… ricucire l’Italia o meglio… scucirLe quel gravoso fardello di persone inette che l’opprime.
BUON CAMMINO A TUTTI.
Giorgio

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Oggi, camminando per Roma (la mia città), ho trovato la mia piccola motivazione.
Tra lo smog, i rumori e le automobili impazzite, io camminavo.
Camminavo e respiravo; e respirando, inalavo tutto quello che c’era di buono e di cattivo nell’aria. Tutte le brutture del mondo. E tutte le cose meravigliose intorno.

Quando respiro, butto fuori energia; ricevo energia. Con un semplice gesto, trasformo. Trasformo in vita e nutrimento per il mio corpo la mia inspirazione e la mia espirazione. E questo, soltanto questo piccolo gesto, mi aiuta a diventare una persona migliore.
In che modo?
Riflettendo, ossigenando ed alleggerendo la mente dai miei problemi; ma soprattutto, prendendo contatto con la realtà circostante. Una realtà che, deformata dal finestrino delle automobili, non ci
appartiene più. Una realtà senza odori, senza colori dove un ammasso di latta ci fa da seconda pelle e ci “protegge”, isolandoci, e appiattendo le nostre capacità di giudizio.
Camminare significa essere costretti a guardare, e non a vedere da un finestrino come uno spettatore del cinema. E guardare significa rimpossessarsi della propria città, dei propri spazi, e delle persone che ci vivono. Significa creare legami tra persone; e tra persone e realtà circostante. Significa essere più vicino ai problemi, ai pericoli; ma anche alle cose più belle di questo Paese.

Tutte le volte che cammino per Roma, io sento di salvarne un minuscolo tassello. Anche se, rientrando a casa, ho le narici nere e la schiena provata dall’attrito sull’asfalto. Solo asfalto: solo su quello ormai camminiamo.

Camminando, respirando ed affrontando la realtà – che potrei benissimo deformare dal finestrino di un’automobile – , io cerco di fare del mio meglio per vedere solo le cose belle; per continuare ad
andare avanti; e per riflettere su quali azioni potrebbero rendere questo Paese migliore. E tutto questo mentre il mio corpo filtra l’aria cattiva per darmi nutrimento. Anche in mezzo a questo schifo.
Per questo trovo l’iniziativa di una potenza straordinaria. A questo dobbiamo tornare: alle persone, e ai legami tra esse. Dobbiamo partire da noi e da quello che ci sta accanto.
Angelita

***

Sono un viandante che ha percorso con voi la prima tappa da Milano a Pavia e desidero ringraziare tutto il gruppo della bella giornata trascorsa assieme. Già prima della partenza dlla Cascina Cuccagna si avvertiva un calore particolare nell’ambiente umano e mi sono sentito incondizionatamente accettato ed accolto. Questo inizio ha creato le condizioni per una complicità ed un’intesa, sia pure di un giorno ma di un giorno intenso, che hanno accompgnato questa nuova esperienza.
Vi auguro un buon cammino, lungo più di quanto possiate programmare ed immaginare, con i piedi ben saldi sulla strada ma soprattutto con la mente ed il cuore
Nomadi, idealisti, sognatori, non fermatevi mai!
Renato

***

questa iniziativa è bellissima! io vivo a Palermo con tre figli e due gatti, mi sarà impossibile partecipare – non solo per figli e gatti – anche se mi sarebbe piaciuto davvero tanto….
i creatori dell’evento e i partecipanti rappresentano la parte sana e vitale di questo paese così tristemente ridotto. abbiamo tutti bisogno di ritrovare le parole vere, quelle importanti, le parole che sanno dare un senso al nostro essere cittadini ed esseri umani in relazione gli uni con gli altri.
abbiamo dimenticato cosa significhi partecipare, sentirsi parte di qualcosa di bello e pulito… abbiamo quasi vergogna di pronunciare le semplici parole dell’anima, come bellezza, amore, coerenza, rispetto, libertà, contatto, relazione, respiro… ci è stato tolto il gusto di essere semplici e di sorridere per le piccole cose.
mio padre era di Modena e ha fatto il partigiano, camminare in campagna e sui monti per lui era fondamentale, mi ha insegnato che il rapporto con la natura e con la gente non si può sostituire con nient’altro.
la qualità della nostra vita dipende da noi, è bene avenre cura.
un abbraccio immaginario a tutti, buon cammino!
Daniela

***

Ecchisenefregadelmaldigambe! Ripartirei domani se potessi. Ieri, sabato 21, ho partecipato alla tappa Pavia – Santa Cristina. Bellissima giornata, bellissime persone, bellissima campagna pavese. Ho ancora negli occhi i campi di papaveri…
Mariangela

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13 thoughts on “Voci di camminanti

  1. giorgio scrive:

    “Cammina Cammina”… per ricucire…
    ovvero ho visto “pisani e livornesi” camminare insieme

    Quante persone ho incontrate nel breve tratto del mio cammino, provenienti da ogni luogo di questo Paese e tutte si sono rivelate come un bellissimo mosaico di accenti , di cadenze e tradizioni diverse le quali in modo naturale mi hanno accolto e dalle quali io “vecchio orso” mi sono lasciato coinvolgere percependo tra noi l’idea di un filo invisibile di valori che ci unisce ma non ci stringe in soffocanti spire ideologiche.
    A chi mi chiede se ho partecipato ad un pellegrinaggio dico di no, a chi mi chiede se è un’impresa sportiva rispondo no, rispondo che è un’impresa del pensiero, l’Idea che diventa azione, la realtà
    di questo andare da Milano a Napoli: “mettersi in cammino… ricucire l’Italia o meglio… scucirLe quel gravoso fardello di persone inette che l’opprime
    BUON CAMMINO A TUTTI

    Giorgio

  2. FABRIZIO scrive:

    Gran bella esperienza. Ho partecipato alle tappe del 28 e 29 mag e stasera mi unisco ancora al gruppo per la tappa di domani.
    Ho incontrato belle persone.
    Giorgio, un salutone e spero di rivederti stasera.

    Buon cammino, Fabrizio.

  3. giulia scrive:

    Ciao a tutti,
    io ho cominciato a camminare da Pavia e fisicamente ho terminato a Fornovo, ma con lo spirito farò tutto
    il percorso Milano-Napoli . Esperienza bellissima che mi ha dato la possibilità di conoscere Laura, la quale mi ha incantata con i racconti dei suoi viaggi- cammini , conoscere Fabiola e Manuel con la loro gentilezza e purezza , Roberta e Fabiola (si 2 Fabiola ) con la loro simpatia e la loro energia, conocere la giovane Marta di Cascina Cuccagna .
    Grazie, ad Antonio Moresco ,Giovanni Giovannetti, Tiziano Colombi e Sergio per aver intuito che L’ITALIA aveva bisogno e ha bisogno di un popolo in cammino , per ritovare se stesso e gli altri.
    Grazie a tutti i compagni di viaggio per i sorrisi e le belle parole che mi hanno regalato.
    Vi abbraccio tutti
    Giulia

  4. Pier Giulio scrive:

    Dimenticare. A stretto giro è quello che facciamo. Dimenticare dove si vive. Dimenticare quando si vive. Dimenticare come si vive. Dimenticare il lavoro. Dimenticare di non averlo, dimenticare il perché. Dimenticare le ferite. Dimenticare il nostro male. Dimenticare ognuno a proprio modo. Dimenticare seppellendo tutto sotto tonnellate di passi. Dimenticare in silenzio, parola dopo parola. Da soli. Uno a fianco all’altro. Uno dietro l’altro. In fila indiana, in coppia, in gruppo, a serpente, a schiera, a frattale, a gregge, con e senza il cane da pastore. Dimenticare il passato, dimenticare l’oggi, dimenticare il brutto. Cancellarlo, obliarlo, coprirlo di impronte, calpestarlo, seppellirlo. Dimenticare, a stretto giro, d’essere rimasti fermi. Per troppo tempo immobili. Siamo volti, occhi, bocche, braccia, mani, gambe, caviglie e piedi. Siamo teste che dimenticano. Passo dopo passo. Dimenticano il dolore. Dimenticano il tempo perduto, dimenticate la terra tradita. Dimentichiamo gli scandali, le malefatte, le connivenze, le piccole ripicche personali, i tradimenti di Stato. Scordo i giorni. Cancello i cattivi odori. Ripristino l’aria.  A stretto giro, mandi a fanculo un mondo che non ami. A stretto giro, provi a perdonare. E a ricordare. Ricordare il più possibile. Ricordare l’erba, ricordare cosa vuol dire avere fame. Sentire fame. E avere sete, provare la sete, lasciarla salire e tenerla a bada, sulla punta delle labbra. Le vite degli altri. Tenerle a mente. Di chi si muove. Accanto a te. Insieme. Di chi si incontra. Di chi ci saluta, di chi vi rinfresca. Lungo il cammino. Rievocare morti, fermarsi a leggerli. Su mute stele. Dedicargli un pensiero. E riprendere il passo. Per ricordare la fatica, riscoprire il corpo. Sentirlo urlare. Vederlo soffrire. Piegarsi e piagarsi. Pregarti. Ignorarne le suppliche. Gli scricchiolii e le fitte. Vincerlo per sfinimento. Domarlo di imprecazioni. Parlagli in disparte, tenerlo buono, curarlo la sera, farlo dormire. Ricordarlo al risveglio. A stretto giro sfidarlo. Sul limite. Tra te e te. Tra due passi. Lungo un sentiero. Parlare d’amore. Di vecchie illusioni. Di freschi rancori. Di libri e miserie. Di domani. Di dopodomani. Di cosa farai. Di dove andremo. Di mangiari locali, di superalcolici. Di città attraversate, di campanili e di suore. Di voti ma laici. Di vecchie politiche. Di nuove energie. Di spinte dal basso. Di merda e di piscio. Di vecchie promesse, di uomini scaltri. Di come morire. A stretto giro, dividere il peso. Un chilometro a testa. Mezz’ora è più onesta. Sotto la pioggia, in un mare di sole. Tra l’erba più alta, contando le ore. Pensare pulito. E aspettare alle svolte il compagno più indietro. Indicargli la strada e poi farsi scortare. Incontrarsi a metà, e litigare, per strapparsi un abbraccio. A stretto giro, cercare qualcosa, guardando un po’ oltre, la differenza e l’ostacolo. Oltre la strada, oltre te stesso, l’appartenenza o la fede. Diminuire e aumentare, giorno per giorno, da dieci a cinquanta, di colpo quattro soltanto. Giurare un ritorno, sperare di farlo. Innamorarsi di un culo. Sotto un viso da angelo. A stretto giro, cucire un passaggio, come nonna con un vecchio calzino. Segnare un percorso. Unire due mete, pensare un Paese, come un paese. Ricordare l’Italia. Ma senza mai correre, perché non si fugge. Serrarne le piaghe. Alzarla. Sopportarne il risveglio. E cammina cammina. Lazzaro mio. 

    P.G.

  5. roberta scrive:

    diario del “viaggio”
    da Pietrasanta a San Miniato… e anche oltre…
    All’arrivo alla casa della Rocca di Pietrasanta, dove abbiamo passato la prima notte di questo pezzo di “cammino”, ci attende una suora che senza troppe cerimonie ci scorta in camera. A momenti ci semina tra i labirintici corridoi di questo magnifico palazzo, sembra pure spazientirsi del fatto che non riusciamo a starle al passo, ingombrati e ingombranti come siamo del “pesante fardello” portatoci da casa. Quando finalmente la superiamo, perché è lei ad un certo punto che si attarda, un po’ affaticata, dopo l’ennesima rampa di scale, ci sembra di prenderci una piccola rivincita … tronfi di quell’effimera smania, retaggio del cieco vivere del “prima”.
    E subito ricredersi, smentendo banali preconcetti.
    E già ritrovarsi a “condividere”, anche con chi non te lo aspetti, il punto di vista sulle cose.
    E anche stupirsi, appena scalfita la superficie, quanto altri, diversi da te, possano avere in comune con il tuo modo di “vedere”.
    Abbiamo percorso tre tappe, “poi”, di questa via Francigena, Fulvio ed io.
    Da Pietrasanta a San Miniato, 75 chilometri circa, in tutto 5 giorni.
    In realtà alla fine di questo “viaggio”, se di “fine” possiamo parlare, mi sento come se di giorni ne fossero passati 1000 e di “strada” ne avessi fatta tantissima.
    Ho visto persone arrivare e persone partire.
    Ho incontrato persone che mi sembrava di conoscere da una vita e persone che ci sarebbe voluta una vita per conoscere.
    Ho percorso chilometri, tanti passi, uno dopo l’altro, uno alla volta, senza “barare”.
    Ho camminato sul rovente asfalto martoriato dal passaggio di camion e di automobili, su aridi sterrati, su scivolosi acciottolati, in mezzo a rovi, ortiche, spazzatura, perché la via Francigena oggi, è anche questo.
    Ho camminato per ombrosi boschi e ho attraversato affreschi di città, perché l’Italia, soprattutto e per fortuna, è anche questo.
    Ho fatto questo “cammino” seguendo minuscoli invisibili segnali, “affidandomi” agli altri, a chi come me ci sta provando a farla questa “strada”, a chi l’ha già fatta, a chi ha aiutato altri, come me, a farla.
    Ho incontrato persone che ti salutano sorridenti, che ti offrono conforto con dell’acqua fresca, o un passaggio, se diluvia, ma anche chi ti guarda e gli leggi in faccia che pensa che sei matto, con questo caldo, o con questa pioggia, tutti questi chilometri, ma per fare poi?
    Per fare? Per fare?
    Per fare!
    Per fare che ci si parli, ancora, tra persone.
    Per condividere, gioie e dolori.
    Per fare che sia, ancora una volta, “normale”, dare, senza aspettarsi nulla in cambio.
    Per provare a ridurle le distanze che ogni giorno ci dividono, anche solo di un passo alla volta, che è meglio di niente.
    Per scoprire di essere ancora in tanti ad avere speranze, ad avere idee, pensieri e opinioni, magari diverse dalle nostre.
    Per imparare ad accettarle, ad avere rispetto, degli altri, dei luoghi.
    Per sentire di fare parte di qualcosa, di grande.
    Per riscoprire il calore di una stretta di mano, di sguardi, di occhi, vivi, trasparenti, sinceri.
    Per trovarsi a scherzare, a ridere di cuore, fino alle lacrime, che non senti più stanchezza e dolori.
    Per sentire l’esigenza di farne ancora, di “strada”, che ancora ti manca di arrivare e già pensi a quando potrai riprenderlo questo “cammino”.
    Per sentire, una volta di più, di essere sulla “strada” giusta … ovunque ti porterà d’ora in poi il tuo “cammino”.

  6. Fabio Gigli scrive:

    Ho partecipato alle tappe Lucca – Altopascio e Altopascio – San Miniato, così, quasi per gioco. E dopo due giorni di cammino insieme, appena preso il treno per tornare a casa, mi sono accorto che li, tra quel gruppo di pellegrini, ho lasciato un pezzo di me. Non c’è giorno che passa in cui non vi penso in chissà quale situazione, paesaggio, discorso. Ho riscoperto me stesso, mi sono messo in gioco, ho riscoperto un mondo, ho capito quanto sia grande la mia terra, l’importanza del trascorrere del tempo in tutte le cose, l’importanza delle distanze. In automobile e in treno non si vede e non si sente nessuna di queste cose. E in più ho come l’impressione, che da quando Cammina Cammina è partito il 20 maggio, anche l’Italia si stia muovendo, si stia risvegliando da un sonno profondo. Spero che quando arriverete a Napoli, arriverete anche in una nuova Italia. Vorrei tornare a fare qualche tappa con voi, ma “purtroppo” ora torno sui libri. Tra poco devo dare un esame su un certo Moresco: scrive libri strani, ma soprattutto è a capo di una banda di incoscienti che cercano di riunire il paese coi propri passi!
    Buon cammino a tutti!
    Fabio.

  7. Stefania scrive:

    Ho partecipato alla tappa Monteriggioni – Siena e ho lasciato passare un paio di giorni prima di scrivere il mio commento perchè questa bella esperienza aveva bisogno di decantare un po’ dentro di me. Camminando il mondo prende un altro respiro, noi che partecipiamo prendiamo un altro respiro. E cambiano le prospettive. Mi sono sentita lontana anni luce dai soliti problemi della quotidianità. C’ero io, c’era la natura bellissima al cui ritmo ci eravamo adeguati e c’erano i miei compagni di viaggio. Una dimensione decisamente nuova (almeno per me) del fisico e dell’anima. Io non ho parlato molto, caratterialmente sono piuttosto un “orso” ma, passo dopo passo, mi arrivavano frammenti di conversazioni degli altri. E si parlava di sogni nel cassetto, dell’acqua presa nei giorni precedenti, delle persone incontrate durante il cammino, dei luoghi attraversati, del lavoro e degli hobby, ma anche di elezioni, di piazze tornate piene di giovani dopo tanti anni, del senso dello Stato che non appartiene ai nostri governanti. E mi sono resa conto che ciò che accomunava persone sconosciute e così diverse è il fatto che fossimo un gruppo di sognatori, di visionari per certi versi. E mai come in questo momento c’è bisogno dei nostri sogni che trovano un fondamento concreto anche nella stravagante iniziativa di andare a piedi da Milano a Napoli. Ringrazio dal profondo del cuore gli organizzatori e tutti i viandanti passati, presenti e futuri, perchè tutti noi con la nostra fatica, il nostro sudore, il nostro impegno diamo energia ad un’idea di Italia decisamente migliore di quella che ci tocca vivere nel momento attuale.
    Buon cammino a tutti, buon cammino Italia.

  8. Roberto scrive:

    “Mamma, sai che mi sono fatto Lucca-Altopascio a piedi? Quasi 18 chilometri!”
    “Ma sei impazzito?”
    Mamma, non lo so se sono impazzito.
    Dici che dovrei stare a casa, a casa a studiare?
    È quello che faccio sempre, però.
    Dici che non c’è motivo di smettere proprio adesso, proprio adesso che ci sono gli esami?
    Ma no, non dici niente, sono io che mi faccio domande da solo, come uno scemo o, sì, forse… forse come un pazzo. Ma che vorrà dire poi, pazzo?
    Esami. Quante tonnellate una sola parola.
    No, non dirò che partecipare al Cammina cammina sia stato un modo per scrollarmi di dosso un po’ dell’ansia per gli esami, perché non è vero, perché non basta, perché c’è molto di più dietro e dentro e dopo questa camminata.
    C’è per esempio una lunga strada rettilinea, un fiume d’asfalto che costeggia il mondo: quel tanto di mondo che sta al di qua dell’orizzonte, di quella linea buttata sempre di là dallo sguardo come uno scherzo.
    C’è per esempio una signora abbronzata e con accento straniero che accorre sorridente dalla sua casa, come un miraggio, portando in dono due bottiglie d’acqua gelata, domandando la ragione del nostro peregrinare.
    C’è il piacere di nuove e vecchie conoscenze, di chi ti racconta le storie d’amore, di chi ha l’umiltà e il coraggio di ricominciare daccapo ogni giorno, ogni minuto, anche dopo ore di marcia, come se fosse sempre tutto ancora da decidere, come se ancora fosse sempre tutto a decidere; di chi ha sempre cose da dirti; di chi ti dice sempre le stesse cose, ma è sempre come se le dicesse per la prima volta; di chi te le dice in trenta lingue, e ti offre pure il caffè; di chi se non ti basta, leggi i suoi libri; di chi non te le dice e, per questo, sai che ci sono.
    Di chi non c’è e vorresti che ci fosse, e cammini pure per lei.
    Ci sono quei fili d’erba e quei giunchi che tremano al vento, tutti messi lì a guardarti mentre passi, strano gobbo camminatore e sudato, mentre fai risuonare la terra sotto le loro radici col tuo piccolo contributo tettonico. C’è quell’andirivieni di destini dietro ai cofani delle automobili, dietro quei volanti ostili, appaiono e scompaiono dietro gli angoli dell’universo.
    C’è una guerra in atto: animali al volante e animali in piedi, vento e giunchi, suole e asfalto, sudore e pelle, nuvole e sole, respiro, sassi, carne calda, molecole su molecole, atomi contro atomi, chissà quanti formicai lungo le sponde dei nostri piedi, chissà quante mansioni le formiche operose, chissà quanti pensieri si incrociano nelle nostre testoline accaldate, chissà quanti occhi dietro le finestre a farsi domande, chissà quante cose abbiamo dimenticato, chissà quante ciliege rubate a quell’albero, chissà quante parole non spese, chissà quanti sguardi, chissà quanti ricordi e pentimenti lungo la strada, chissà quante sinapsi inventate, chissà quanti peli nei baffi, chissà quante foglie, quanti rami a forma di fulmine, chissà quanti baci segreti nell’ultima fila, chissà quanti salti nel buio quel gattino nei campi, chissà quanti cartelli e pali della luce.
    Chissà quante italie mi sono perso, chissà quante italie non conoscerò mai.
    Chissà quanti posti in cui potevamo essere, e dove non eravamo, dove abbiamo scelto di non andare: sì, questo ho imparato: che siamo noi a scegliere, uno per uno; che non siamo come ci dicono. Che una passeggiata non è andare da qui a lì, ma un insieme di passi messi in fila, uno dietro l’altro, come le parole di un romanzo, e che siamo sempre noi a dirigerli.
    Sì, mamma, questo ho imparato: che vorrei che gli abitanti di questo Paese che tentiamo di ricucire capissero che anche loro possono, quando vogliono, decidere da che parte andare, fare ogni giorno il loro passo nella direzione che preferiscono, e ciò indipendentemente da questa o quella legge elettorale: possiamo decidere che la storia non è finita.
    Roberto

  9. mariangela opici scrive:

    Un grazie di cuore
    ad Antonio Moresco, anima poetica di Cammina, cammina, all’editore e a tutta la redazione del Primo amore. E’ vero ad essere idealisti si rischia di brutto. Si rischia di essere guardati con sufficienza a volte scettica e a volte divertita da sguardi spessi, appesantiti dal cinismo.
    Ma si sa, la bellezza è negli occhi di chi osserva. E’ il nostro sguardo interiore che conta, è come ci percepiamo noi in relazione alle nostre azioni, pulite o sporche, alte o meschine. Fare pulizia, agire, a volte, diviene necessario. Quando si ha il coraggio di gettare luce sulle nostre zone d’ombra, quando decidiamo di muoverci, di alzarci e camminare, camminare… perché non ne possiamo più e perché la fatica del viaggio non è nulla rispetto al macigno che ci schiaccia l’anima e il senso d’impotenza che ci opprime, beh, allora termini come ingenuità, idealismo, desiderio, riscatto, utopia, assumono un colore nuovo, più rosso che candido, e si sciolgono dall’abbraccio mortifero del giudizio beffardo e arrogante, della rassegnazione, della sconfitta di chi giace aspettando che tutto scorra verso la fine. Un semplice gesto: camminare, camminare. Una marcia del sale per raccogliere nell’oceano delle nostre esistenze una manciata di speranza da lanciare in aria, un’azione poetica ricucire l’Italia, o forse solo rammendarla, una performance d’arte collettiva…

  10. filippo scrive:

    Mi sono unito al cammino quando il percorso era stato per gran parte fatto. Nella tappa conclusiva che portava i camminanti da S. Angelo in Formis a Napoli.
    Arrivato da Roma al centro scout che ci ospitava ho trovato persone, uomini e donne, esauste e felici: occhi grandissimi in tutti.
    Ho nitide in testa delle immagini: i ragazzi della Parocchia di S. Angelo in Formis in cerchio che cantano Battisti e quelli della Banda Baleno che suonano la Murga per le strade deserte di Scampia; il rullare dei tamburi, il battere della grancassa, l’avvicinarsi dei bambini curiosi e sfottenti, il sovrastarci dei palazzi. Ricordo le donne Rom che servono pietanze buonissime cucinate per noi.
    Ricordo i ragazzi di Libera e Tina, del Comitato Don Peppe Diana di S. Ciprignano, che ci hanno ospitato nella villa sequestrata a un boss della camorra, adesso luogo d’incontro e di cura per malati mentali.
    Ricordo Il murales colorato del casotto degli attrezzi a Casale di Principe che illumina la terra confiscata alla camorra coltivata biologicamente a pomodori e melanzane; i racconti delle intimidazioni e il sabotaggio dell’impianto idrico del pescheto; le future coltivazioni di grano per la pizzeria NCO, che invece che Nuova Camorra Organizzata, vuol dire Nuova Cucina Organizzata.
    Mi ricordo tutto, e tutti. Tutto è stato inaspettato e straordinario.
    Mi resta, invece che la nostalgia di un viaggio, il rimpianto per non aver camminato di più. Ma ho la sensazione di non essere arrivato “troppo tardi” perché non è finito il cammino.
    Questa sensazione mi ha fatto venire in mente i versi finali di East Coker da i Quattro Quartetti di T. S. Eliot.
    Li riporto perché da oggi saranno per me il ricordo delle persone e delle cose viste in questi due giorni, e spero siano un augurio per quest’impresa e per quelle future.
    Miei i corsivi

    Casa è il luogo onde si parte. A mano a mano
    Che diventiamo più vecchi, il mondo
    Diventa più strano, la trama più complicata
    Di morti e di viventi. Non il momento intenso
    Isolato, senza prima né poi
    Ma una vita che brucia ogni momento
    E non la vita di un uomo soltanto
    Ma di vecchie pietre che non si possono decifrare.
    C’è un tempo per la sera alla luce delle stelle,
    un tempo per la sera al paralume ( la sera
    con l’album di fotografie). L’amore
    è più vicino a se stesso
    quando il qui e l’ora
    non importano più. I vecchi
    dovrebbero essere esploratori
    qui o la non importa noi dobbiamo
    muovere ancora e ancora
    verso un’altra intensità
    per una unione più compiuta, una più profonda
    comunione attraverso il buio freddo
    e la vuota desolazione, il grido
    dell’onda, il grido
    del vento, la vastità delle acque
    della procellaria e del delfino.
    Nella mia fine è il mio principio.

  11. Giorgia scrive:

    Cos’è successo?
    Che qualcuno ha pensato ad un modo un po’ originale, alternativo, forse eccentrico per celebrare il 150° anniversario dell’unità d’Italia?
    Forse, ma soprattutto altro.
    E’ successo che qualcuno ha colto un bisogno, un desiderio profondo e diffuso, e ha cercato di soddisfarlo in uno dei modi possibili.
    Molti hanno risposto. E così ci si è messi in moto, perché insieme ai corpi acquisissero forma ed energia anche i pensieri, le emozioni, i sogni…

    Ma di nuovo non è tutto qui. E’ successo dell’altro.
    Chi ha camminato ha riconosciuto soddisfatti alcuni desideri, alcuni se li è trovati lì appena sfiorati e nel frattempo ha scoperto di averne addirittura altri ancora.
    Ed è successo che non è rimasto lì fermo, in attesa di qualcosa che venisse da fuori: era in cammino e ha continuato a camminare!

    Ecco perché l’ultima serata del Cammina Cammina può essere definita anche come la prima della Stella d’Italia. E non importa se poi le persone saranno le stesse oppure no. Una festa di chiusura, che generalmente si abbandona alla soddisfazione, al compiacimento, alla celebrazione della pienezza di ciò che si è vissuto, in realtà è diventata l’occasione per confrontarsi sui vuoti, per cercare nuovi percorsi, per verificare e riprogettare.
    Forse perché non si voleva accettare che quella fosse davvero l’ultima serata.
    O forse soprattutto perchè ciascuna delle persone che aveva camminato ha sentito chiaramente che non poteva più fare “solo” l’utente di un progetto: il sudore, la fatica, i sorrisi del cuore gli davano l’autorevolezza, il diritto e quasi il dovere di intervenire, di farsi un’opinione ed esprimerla.

    Allora ecco cos’è successo: Cammina Cammina è esplosa, si è trasformata perché, pur con tutte le contraddizioni, le fatiche e gli sbagli che l’agire umano porta sempre con sé, ha realizzato ciò per cui era partita. Ha creato spazio per nuovi protagonisti del cammino.

    Di fronte a questa maturazione c’è solo una scelta: rispondere con responsabilità e coraggio lasciando che Cammina Cammina cresca, si plasmi a seconda delle diverse sensibilità che vorranno darle forma.

    Come?
    Con uno sguardo alto, verso un desiderio più grande di te, che ti spinge fuori di casa, lontano dal tuo mondo, ad incontrare l’altro e a vivere quell’esperienza non ordinaria che è il Viaggio.
    Ma un viaggio è tale anche perché finisce, perché hai abbandonato una casa alla quale torni. E allora è importante anche uno sguardo più piccolo, attento a scelte quotidiane che esprimano concretamente una coerenza e una consapevolezza che, sola, può garantire che il sogno non rimanga tale ma diventi storia, da costruire giorno dopo giorno, a casa, anche ben dopo la fine del viaggio.

    E allora, mentre tutti noi camminanti vediamo che i piedi pian pian rallentano, il cuore si distende e l’immaginazione si prefigura Stella d’Italia… grazie! Grazie a chi ha sognato e poi camminato e quindi ancora sognato, fino ad accorgersi che forse non si può fare l’una cosa senza l’altra.

    Giorgia

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