Due interviste camminanti

Ma passiamo alle cose serie.

Giacomo D’Alessandro di Suq a Genova, che ha fatto diverse tappe con noi – e ne ha parlato qui e qui -, ci ha girato due “videointerviste camminanti” (nel senso letterale del termine: cioè fatte senza smettere di camminare)  in cui Antonio Moresco e Giovanni Giovannetti parlano di come è nato “Cammina cammina” e di tante altre cose. Serie.
Ecco i due video, seguiti per chi volesse, dalla trascrizione delle conversazioni.

Conversazione con Antonio Moresco

Tutti quelli che ci vedono passare chiedono: “Dove andate? Chi siete?” Cosa rispondiamo loro?

Andiamo a Napoli, siamo delle persone che fanno una cosa che può sembrare esagerata, che è esagerata, e che però è da fare nell’esagerazione di questi anni. Una risposta a tutto questo ma una risposta di ricucitura e non di lacerazione nella vita del paese. E così a seconda dei casi uno può pensare che siamo matti, che siamo degli idealisti, dei don Chisciotte, con una parte di verità in tutto ciò qui, ma mi sembra che quello che sta succedendo abbia un aspetto di grande naturalezza, senza nessuna postura da superuomini. Ci sono qui donne e uomini che fanno questa cosa con grande convinzione, sopportano tutta la fatica che comporta, e questo è un segnale forte, vuol dire che le persone chiedono, vogliono fare di più, non di meno, vogliono che le si stimi e che si chieda, si pretenda da loro di più.

E allora raccontiamo che cosa sta succedendo in questi giorni: siamo partiti da Milano, ma come è programmato questo viaggio, che avete intitolato “Cammina cammina”?

Dura poco meno di un mese e mezzo e finisce a Napoli, a Scampia, davanti al Centro Hurtado, che sta facendo un lavoro importante nella periferia di Napoli, una zona molto difficile; siamo partiti dalla Cascina Cuccagna, altro posto nel cuore della città (Milano) dove si stanno facendo cose che vanno del tutto contro corrente; questi posti hanno un aspetto di prefigurazione, non solo di denuncia o di protesta per come vanno le cose, ma anche “prefigurano”, cioè fanno vedere come potrebbe essere diversa la vita.

A mio parere ci vuole un’invenzione, bisogna “inventare” qualcosa e non semplicemente esprimere il proprio dolore per la situazione in cui stiamo vivendo. Bisogna fare un gesto, un azzardo più estremo che è quello di prefigurare, di inventarsi qualcosa di nuovo. Questa “roba qui” nel suo piccolo è questo: Milano, Napoli, il nord, il sud… C’è chi lavora per lacerare l’Italia sempre di più, e che trae il proprio potere proprio dal fatto di lacerare, mettere gli uomini gli uni contro gli altri a seconda della regione, del paese in cui sono nati, e noi facciamo un gesto che va in senso opposto; non lo facciamo con le chiacchiere – son capaci tutti – ma lo facciamo sudando, camminando assieme ad altri. E’ il nostro modo non solo di esprimere la nostra insofferenza ma anche di oltrepassarla facendo vedere che in Italia si potrebbero fare delle cose diverse.  Quando le persone, come dimostra questo piccolo viaggio, si conoscono, si incontrano, alla fine sbaragliano le differenze, perché chi fa assieme una fatica condivisa poi si conosce più profondamente, le barriere saltano. Barriere molto spesso edificate da chi trae il suo potere tenendole in piedi.

Nell’appello con cui a marzo avete convocato e presentato questa esperienza, come gruppo delle Tribù d’Italia e del Primo Amore, avete scritto “ci sono delle lucine, molte lucine in questo paese buio, bisogna farle crescere e farle incontrare”. Di cosa si tratta?

Le lucine sono tutte queste realtà – in Italia ce ne sono moltissime – di persone che sembrano andare in tutt’altra direzione, non si fanno paralizzare dal fatto che “questo fa schifo, questo ci va male, non si può far niente, allora possiamo solo crogiolarci nel nostro dolore e nel nostro scontento”, ma fanno delle cose forti, tra di loro, spesso in termini di puro volontariato. E quindi noi non abbiamo detto “siamo la luce nel buio”, noi abbiamo detto che ci sono tante lucine, che siamo una di quelle e che muovendosi la luce può creare un vortice, che magari si incontra con tutti gli altri piccoli vortici, che ci sono già nel paese e però non sanno magari niente l’uno dell’altro.

Tu sei forse il principale fra gli organizzatori, i pensatori di questa idea, di questo gruppo; diciamo allora per chi ci segue chi è Antonio Moresco e perché si è messo in viaggio anche lui.

Sono uno scrittore, ma non sono mica nato scrittore… Sono una persona che ha fatto una vita molto difficile e ad un certo punto, dopo i trent’anni, ha trovato questa strada dello scrivere, dopo una storia di disastri, di disavventure anche molto personali. Adesso continuo a scrivere, pubblico i miei libri, però non mi basta, ho il desiderio che questa non sia un’attività chiusa in un piccolo recinto. In un recinto non mi faccio chiudere, se ho delle passioni, dei sogni io li esprimo ed essi non sono in contraddizione col mio essere scrittore, anzi, sono un tutt’uno.

***

Conversazione con Giovanni Giovannetti

Siamo in cammino con Giovanni Giovannetti, editore e nel comitato di redazione della rivista “Il primo amore”, ma anche fotogiornalista e specializzato in ritrattistica letteraria…che sarebbe?

Fare le foto agli scrittori.

Quante ne hai fatte?

Ma, penso quindici, ventimila. Di scrittori.

Hai scritto anche un libro che uscirà a breve..

Sì, Sprofondo Nord, che tratta l’argomento ‘Ndrangheta in un modo un po’ particolare, o meglio la contiguità tra il sistema appunto criminale (‘Ndrangheta) e il sistema cosiddetto illegale, non necessariamente criminale e mafioso ma pur sempre un danno per la collettività.

Mentre camminavamo mi hai detto che questa marcia, che sembra una cosa un po’ senza senso, in realtà ha un significato enorme. Di che si tratta?

Cominciamo col dire che viviamo tempi grami: questo è un paese colpito duramente dalla crisi economica, e forse più di altri proprio perché l’economia legale patisce l’assalto dell’economia criminale e illegale, che rappresenta qualcosa come il quaranta per cento del prodotto interno lordo, globalmente (lavoro nero più proventi da attività illecite). Viviamo tempi bui anche per questo populismo tracimante.

C’è chi rema contro l’idea di nazione, e parlo di nazione come disgiunta dall’idea di etnia, perché gli italiani non sono un’etnia: italiano è chi ha titolo per esserlo. Siamo tutti italiani e anche i nuovi arrivati. Ecco, quest’idea di nazione va in qualche modo sostenuta, perché può garantire un futuro a tutti noi, se teniamo presente che qui l’unica cosa che cresce è il decremento demografico. Se non fosse per le nuove ondate migratorie, molto probabilmente non avremmo di che pagare la pensione ai nostri figli.

E allora c’è anche questo retrogusto nell’iniziativa che stiamo portando avanti, ci sono questi contenuti, ovvero c’è un paese che rema contro e vuole dividere, e c’è chi invece vorrebbe unire, ma unire le persone, il paese della solidarietà, il paese che opera, a prescindere da tutto il resto.

La lunga marcia che stiamo conducendo non è contro qualcosa, è per qualcosa. Per un paese migliore, per rendere evidente quel paese che più ha capacità prefigurativa e anche rigenerativa. Ecco, la nostra Italia ha bisogno di rigenerarsi, su nuovi contenuti, e i protagonisti di questo cambiamento temo non appartengano al mondo della politica attuale, ma piuttosto altro alla società civile.

Perché pensi che questa iniziativa possa essere un motivo di svolta, di cambiamento? Voi avete parlato nell’appello promotore di “lucine”, che sono presenti ma che bisogna fare incontrare e crescere. Perché una camminata da Milano a Napoli?

L’altro preliminare a questa iniziativa risale al 2009, quando a Castiglioncello si tenne l’incontro “Tribù d’Italia”. Lì abbiamo avuto modo di ascoltare persone che provenivano da ogni parte d’Italia, gente impegnata nel sociale, gente che faceva cose, per se e per gli altri, importanti. Allora, la nostra volontà era di incominciare a mettere in relazione, non dico la pretesa di fare rete tra tutte queste realtà e costruire un paese alternativo (dubito che sia praticabile con le forze attualmente a disposizione). Però. Però qualcosa si può fare, e allora a fronte di tutto questo un gesto come il nostro, e cioè senza nessuno strumento (qui lottiamo con le cerbottane contro i carri armati!), senza avere a disposizione tv o media, può essere rivoluzionario in tutti i sensi.

A proposito, è vero che questa marcia è a costo zero?

Assolutamente sì, anzi, ci autofinanziamo e tu lo sai, perché stanotte hai dormito in un posto pagando di tasca tua. Chi partecipa lo fa come atto di volontariato estremo, puro, anche perché noi possiamo mettere a disposizione un minimo di organizzazione preliminare, abbiamo più o meno organizzato i pernottamenti, dopodiché chi arriva a destinazione tappa dopo tappa sa che deve pagarsi sia la cena sia il pernottamento. Cose da poco perché per una buona parte del cammino, fino a Roma, saremo ospitati in strutture organizzate lungo la via Francigena. Da Roma a Napoli sarà più difficile, ma ci organizzeremo. Non ci facciamo scoraggiare.

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