Il Suq ancora “cammina cammina”

In concomitanza con il Festival Suq delle Culture, dal 15 al 26 giugno al Porto Antico di Genova (programma integrale su www.suqgenova.it), prosegue “Cammina cammina”, l’impresa simbolica per “ricucire l’Italia con i nostri passi” da Milano a Napoli, lanciata a febbraio dal gruppo di scrittori della rivista Il primo amore (tra cui spicca il nome di Antonio Moresco) e dalla rete Tribù d’Italia che unisce realtà locali del nostro paese attive per un cambiamento culturale e sociale.
Il Suq di Genova ha voluto essere presente e contribuire con un suo giovane collaboratore che ha seguito le tappe della partenza da Milano a Piacenza (reportage e diario di viaggio disponibili sulla pagina Facebook “Suq a Genova”) e che è poi tornato a seguire altre quattro giornate di viaggio tra Siena e Orvieto.
Un’occasione per parlare del Suq a tante persone provenienti da tutta Italia, per invitare scrittori, giornalisti e appassionati a prendere parte al Festival, e perché esso prenda sempre più posto tra le altre tante tribù di un’Italia nuova e diversa.
Giacomo D’Alessandro racconta attraverso pagine di diario e fotografie questo “ritorno in viaggio”, nell’unione tra lo spirito del Suq e questo innovativo cammino tra le luci d’Italia.

9 giugno 2011 – Siena/Ponte d’Arbia (28,5 km) – Il mio ritorno in viaggio e alcune prodezze solitarie

La giornata è iniziata così: ore 4, la banale sveglia del mio cellulare infrange quattro ore scarse di sonno. Mi precipito in stazione e miracolosamente prendo quattro treni uno di seguito all’altro, tra appisola menti, racconti di Borges e un po’ di buona musica. La Spezia, Pisa, Empoli. Siena.

E’ qui che sbarco alle 10’20 del mattino. Il sole riscalda l’aria, alla faccia delle nubi notturne che ho lasciato in Liguria. Fiero del mio perfetto orario, riesco a perdermi in stazione. Trovare gli autobus per il centro, a Siena, è peggio che orientarsi al buio a Parigi Charles de Gaulle. Frecce ambigue, scale mobili cieche, porte scorrevoli, parcheggi, ascensori.

In ogni modo, arrivo a Piazza del Campo, scivolando rapidamente per i vicoli del centro città, e basta poco per percepire l’insuperabile bellezza di queste pietre medievali percorse da fiumane di persone camminanti. I “camminanti” che cerco io, invece, hanno almeno due ore di vantaggio. Cartina alla mano, ore 10’45, parto alla ricerca della Via Francigena per raggiungerli.

La giornata continua alla grande: devo chiedere praticamente ogni via indicata dalla cartina per uscire da Siena, e riesco a chiederle tutte quando ormai ci sono sopra. Non appena imbocco la Francigena, costeggiando splendidi casolari e cortili in mattoni rossi, mi ricordo di essere senz’acqua. In giro non c’è anima viva. Mi impongo un ritmo da marcia militare, a tappe forzate spero di acchiappare il gruppo in tempo record. Il caldo inizia a opprimere, il sole batte. Sempre meglio della pioggia genovese, oggi, eppure ho bisogno d’acqua. Busso ad una casa molto grande, splendidamente medievale, che pare abitata.

“Posso riempire solo la bottiglietta?”

“Ma te ne do una io, tranquillo!” risponde gentilissima una signora di mezz’età. E mi molla in mano un litro e mezzo di frizzante. Per la gioia del mio zaino già oltre i 10 kg. Ma almeno il problema sete è risolto.

I casolari iniziano a diradarsi. Oltre le cinte e i lastricati compaiono i giardini e poi i campi. Siena resta sullo sfondo, con la Torre del Mangia slanciata nel turchino del cielo, i suoi tetti bianchi e rossi e i mattoni e le pietre della sua storia. I colli si tingono del giallo e verde dei campi perfettamente coltivati, degni dei più celebri sfondi pittorici del Rinascimento. Mentre sfrutto il morbido saliscendi dei colli per accelerare il passo, tenendo d’occhio la carta, assaporo il silenzio, il profumo di paglia e ulivi che il sole sembra spandere con forza attorno a me.

Raggiungo il gruppo di “Cammina cammina” solo dopo un altro paio di genialate. Tra i paesini fuori Siena, a un certo punto le mie indicazioni parlano di tal “Strada Renaccio” sulla sinistra, imboccata la quale si deve attraversare un agriturismo e prendere una carrareccia sulla destra. Non ve la farò lunga: riesco a cuccarmi l’unica strada omonima (perfettamente compatibile con le indicazioni) di tutta la Francigena. E perdo venti minuti a citofonare a un condominio privato – e per di più deserto – convincendomi che sia un agriturismo, perché – scusate – qui nel vostro parcheggio non c’è proprio nessuna carrareccia.

Riacquisto il senno senza alcun Astolfo in mio soccorso, e ritorno sulla principale. E’ in mezzo a un mare biondeggiante di frumento in fiore, scosso dal vento come onde sul mare placido, che poco dopo l’una, svoltando in discesa, scorgo improvvisamente quattro o cinque sagome di camminanti in lontananza. Non è il caldo… sono camminanti! E chi ci trovi qui sulla Francigena un giovedì mattina qualsiasi?! E poi…quello che sventola laggiù, su uno zaino, è proprio un tricolore! E scommetterei dieci euro (non miei, da buon genovese) che sopra c’è scritto “Cammina cammina – Milano-Napoli 2011”.

Li ho trovati. Aumento il passo e mi accorgo di stare sorridendo. Qualcuno si gira e deve aver pensato: “quello prima non c’era…”. Si gira anche un volto familiare. Sorride e inverte la marcia. Giovanni. Ci mettiamo a correre. Ognuno urla qualcosa, ridendo.

L’abbraccio con Giovanni è una di quelle cose che non scorderò. In quel momento ho detto: “sono a casa”. E: “sono felice”.

Ritrovarsi sulla strada dopo essere partiti insieme tempo prima, reincontrarsi con la stessa gioia, non ha eguali. E’ ciò che rende indimenticabile e insostituibile il viaggio. Sentire infine sulla tua pelle e nel tuo cuore che, mentre hai deviato su una strada diversa, i tuoi compagni di viaggio, con cui eri partito, con cui hai condiviso, hanno continuato, giorno per giorno, fatica per fatica, non ha prezzo.

Hanno camminato anche per te. Ti hanno atteso. Per abbracciarti ancora.

10 giugno 2011 – Ponte d’Arbia/San Quirico d’Orcia (27,4 km) – Il mio regno per una chitarra

Mamma mia, ho trovato una chitarra!

In prestito da una suora filippina, a San Quirico d’Orcia, posto tappa di oggi. Siamo arrivati a metà pomeriggio dopo 27 chilometri di buon cammino. Sole e nubi dalle forme fantasiose, alcuni sentieri spettacolari di nuovo tra paesini e colli.

Una cosa nuova è stata costeggiare rigogliosi vigneti che sfoggiavano rose d’ogni colore e specie all’inizio di ciascun filare. Nell’oceano di foglie larghe e filari pettinati tanto da sembrare finti, emergevano spesso alla sommità di un colle splendide ville rimembranti le antiche domus romane, alcune talmente imponenti da attribuirsi a qualche nuovo Trimalchione. E poi i cipressi, in “duplice filar” di carducciana memoria, che ci hanno sorpresi “quasi in corsa, festanti giovinetti”, tra uno scollinamento e l’altro.

San Quirico è un paesino strategicamente in cima a un colle, perfettamente conservato con le sue grandi e levigate pietre bianche. Don Gianni, che si occupa della Collegiata per i pellegrini, ci ha accolti incavolato nero per una serie di accese discussioni tra lui, una pellegrina tedesca e il suo cagnolino che teoricamente non sarebbe potuto entrare. Mentre al momento scorrazzava per una delle camerate. Un bel tipo, don Gianni, già prete sulle navi della Costa Crociere, e ora qui a occuparsi tanto dei pellegrini quanto dei parrocchiani sparsi per paesini medievali.

Sentivo la necessità di una chitarra. E non per patologie personali, quanto per sperimentare le reazioni del gruppo a questa nuova possibilità. La sera in effetti è trascorsa insieme, unitamente più del solito, in modo contemplativo ma anche attivo. Giovanni ci ha letto un racconto dalla rivista Il Primo Amore – Tribù d’Italia, a proposito di un bambino rom morto in circostanze tristi unitamente ad eventi discriminatori in quel di Pavia. L’altro Giovanni – che se ne dorme fuori stanotte, accanto a Pema, relegata all’esterno in quanto cane – si è rivelato maestro di chitarra classica e ci ha fatto assaggiare un po’ di tutto, persino Bach. Dopo le storie e la condivisione, e le reazioni di tutti – prima volta! – è partito il live De Andrè, lanciato da un’esecuzione di Fiume Sand Creek associata alla storia appena letta. Il calvario dei diversi, dei più deboli, in ogni tempo e luogo.

11 giugno 2011 – San Quirico d’Orcia/Radicofani (32,7 km) – Ci hanno proprio lavato i piedi

Mi chiama Carla Peirolero, verso pranzo, per farmi sentire, in diretta da Madrid, la Plaza do Sol con la manifestazione degli Indignados. Dalla piccola cavità auricolare del cellulare passa un clima di gioia e musica e le grida e i canti, i tamburi e le sirene. Sembra quasi di vedere le bandiere, di ammirare i volti colorati, i sorrisi, la determinazione negli sguardi.

Mi sento carico, felice, la fatica e la bellezza indicibile del viaggio, l’incontro stupendo per via e all’arrivo. Stasera è stata la volta degli Ospitalieri della Confraternita di Sant’Iacopo da Compostela. E’ loro usanza accogliere i pellegrini lavando letteralmente loro i piedi in nome di Cristo. Dopo esserci rinvigoriti con una buona doccia, ci siamo messi a tavola, tutti insieme. E’ iniziata la condivisione con questi volontari ospitanti. Si è respirato un clima di servizio cristiano a incontrarsi col nostro miscuglio di esperienze differenti.

Ieri abbiamo vissuto l’incontro con i tre ragazzi che vanno da Roma a Santiago. Nel frattempo l’amicizia con Immanuel, il tedesco che fa la nostra stessa strada e ormai si è deciso a stare in gruppo con noi, ha dell’incredibile: riuscire a comunicare così bene, a dirsi cose anche profonde e personali, in una lingua straniera ma comune, provenendo da vite e realtà così distanti, incontrandosi in cammino per caso.

Stasera è arrivata una famiglia giovanissima con un piccoletto di 10 mesi stupendamente vitale. E già ci si sente compagni di viaggio, si sta insieme con naturalezza, ci si scambia le vite e le storie e le notizie. Questo continua a stupire e stravolgermi, è straordinario cosa porti il viaggio. E’ come se lo scoprissi per la prima volta… non potrò davvero farne a meno, mai. Sia così la mia vita. Ma ancor più, mi accorgo, l’accoglienza e la comunità. Ed è realmente commovente, come si sono commossi tanti che – ci raccontano gli Ospitalieri – sono passati di qui nelle loro folli partenze, ritorni, camminate. Richerche.

Dalle angosce mi sento liberato. Certo, l’essere in viaggio porta una fatica, quella di “mettersi in gioco” continuamente, questo verbo strano che non vuol dire altro se non esserci, per tutti, per ogni servizio, “per ogni passo”. Essere sempre pronti a scambiare due parole, a chiedere “hai bisogno?”, a dare aiuto o indicazioni, a chiedere o a farsi aiutare. A non farsi i fatti propri, ma a relazionarsi. Anche nel far capire quando si desidera fare a modo proprio, essere libero, avere momenti per sé. E il rispetto qui è massimo in tutto questo.

Ora comincio a sentire il sonno. Le sveglie qui sono sempre alle 6, e io più di tutti faccio sempre mezzanotte per scrivere. Ma è così tanto ciò che il viaggiare mi porta, che tutto esplode nella bellezza che mi riempie. L’accoglienza qui alla casa della Confraternita mi suscita un sentore di presenza viva in questi gesti che riceviamo, le condivisioni, la benevolenza. Che possiamo e cerchiamo di restituire.

Anche la passeggiata e i lunghi, profondi, discorsi di oggi con alcuni compagni di viaggio mi entusiasmano, quanto la splendida serata musico-culturale di ieri, insieme. Risvegliano e offrono prospettiva anche al terreno relazionale, terreno che spesso essendo arido e assente ci relega nella sfiducia e nel contorcimento mentale e poi fisico.

Importante anche il bisogno che ci suscitano questi viaggi-incontri, di riflettere, placarci nelle istintuali reazioni, nella chiusura o nella rabbia personale, per pensare e rielaborare, o semplicemente per “stare” un po’ con se stessi. Contemplare e fruttificare. Lasciare che il contadino del mondo getti semi nascituri nel silenzio della pazienza fertile.

Come non rispondere a questa bellezza e a questo paradiso che il camminare ci dona con un impegno incondizionato per la giustizia? Con gesti quotidiani e concreti, piccoli e grandi, “giusti”?

Quale luce? L’umanità. Questo è il bene che ci viene insegnato. Saper credere in noi stessi, per come siamo. Sofferenti, sorridenti, indifferenti, distratti, entusiasti, scossi, appassionati, ardenti. Saperci sentire benvoluti, fiduciati, attraverso tutto ciò che ci circonda.

Il riposo, ora. Che mi riempia, mi completi, nella realizzazione incredibile e commovente di questo vivere e camminare e incontrarsi insieme. Al sicuro posso riposare. Non ho motivo di rimpianto o di paura per il domani. Ho fiducia che questa unione vinca tutto, che il viaggio mi porti questa unione.

12 giugno 2011 – Radicofani/Acquapendente (23,5 km) – Mangiatori d’anguria, ma anche elettori

L’assessore di Radicofani, per quanto costretto con stampella a causa di un recente incidente, si è fatto letteralmente in quattro per accoglierci degnamente nei meandri dello splendido paesino che era chiamato a rappresentare. Ieri sera ci ha guidato tra le insuperabili ceramiche di Andrea Della Robbia e della sua scuola. Le tipiche tavole a soggetto religioso bianche e blu, modellate puntigliosamente e levigate da sembrare davvero eterne. Stamattina, la nostra partenza è risultata, grazie all’assessore, una sorta di “uscita guidata” dal paese di Radicofani verso la nostra prossima tappa, Acquapendente. Oltre le stradine, i resti della Torre dell’Orologio fatta saltare dai tedeschi, con la fortezza incombente sul paese intero, giù fino alla statale dove sorge un antico ospitale per “v.i.p.” dell’epoca, grande tanto da accogliere centinaia di persone nei pellegrinaggi verso Roma.

La giornata è stata colorita dalla presenza del piccolo Lucio, dieci mesi, in zaino sulle spalle del papà Valerio, di Ancona. Lunghi chilometri di discesa ci hanno portato in cresta ad ammirare alle nostre spalle la fortezza soprastante Radicofani, bombardata dagli alleati durante la fine della Seconda Guerra Mondiale; a destra, l’imponente e scuro Monte Amiata, che chiama a sé i pellegrini curiosi destinati solamente ad aggirarlo e mai a conoscerlo. Lungo la vallata, si innalzano i fiumi di soffioni boraciferi. E’ d’altronde un territorio ricco di zone termali.

Una giornata di partenze, anche. I referendum sono inziati. E non sia mai che chi cammina per ricucire l’Italia possa in coscienza eludere un tale appuntamento. Non questa volta. Costi quel che costi. A me costa, eccome. Questa sera, al termine della mia quarta tappa di questo “ritorno in cammino”, lascio. Di nuovo, proseguiranno altri. Camminino anche per me. Me, che altre strade chiamano ora, e domani.

L’arrivo poco sotto Acquapendente è stato talmente caldo e irto di macchine e camion a farci il pelo sulla provinciale, che appena intravvisto un camion di frutta e verdura, qualcuno ha detto “prendiamo un anguria!” “Tutta?” abbiamo risposto. Tutta. Quasi simbolicamente. Il nostro germanico guerriero Immanuel ha tirato fuori il suo coltellaccio e ha cominciato a sventrare il globo rigato di verde portando alla luce grosse fette di un rosso gocciolante cui non abbiamo saputo resistere. Qualche passante, qualche guidatore, può darsi abbia intravisto cinque o sei pazzi sotto il solleone, seduti per terra presso un camion di frutta e verdura, famelici accanirsi su fette d’anguria grosse quanto un polpaccio, sputacchiare noccioli e gocciolare acqua rossastra come vampiri.

Arrivati in paese, è partito il gioco del sondaggio. Chiedevamo a tutti quelli che incontravamo: “Signora, ha votato?!” E a risposta affermativa esultavamo, “grande! Forza così”.

Poi, la partenza. I saluti. Gli arrivederci. Le promesse. Gli auguri. La strada ancora una volta è stata testimone di questo. E delle cinque ore di macchina sparata di ritorno verso Milano, per tre di noi, me compreso. Per votare, per esserci. Si torna. Questa volta so di non potere raggiungere ancora i camminanti. Sarò con loro a distanza, sarò al Festival Suq delle Culture, che è stato un pezzo di questa camminata, ma che ora vive il suo momento, nel bel porto antico di Genova. Un altro viaggio, insomma, che mi chiama. Tante sono le vie, uno l’orizzonte. Ma l’orizzonte è solo un’illusione, e, si spera, un punto di re-incontro. Dopo, la via prosegue, senza fine.

Giacomo D’Alessandro

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