Telegramma

Di Antonio Moresco

Piccoli lampi di memoria delle ultime tappe di Cammina Cammina

Lunedì 13 giugno. Sera e notte a Bolsena. Rivedo le nostre formidabili ragazze camminatrici. Processione nella ricorrenza del Miracolo (o dell’istituzione del Corpus Domini?). Petali di fiori per terra lungo le stradine. La chiesa. La cripta. Di notte i fuochi d’artificio sul lago, visti dall’alto. Arrivato anche Tiziano S. e altri camminatori e camminatrici.

Martedì 14 giugno. Tappa da Bolsena a Montefiascone. La Tuscia. Gli etruschi. L’antica strada con pezzi affioranti dell’ antico selciato. Racconti sui tombaroli, fatti dall’assessore alla cultura di Montefiascone Renato Trapé, che ci è venuto incontro e che ha fatto un pezzo di strada con noi. Pranzo offerto gentilmente dall’assessore, in un ristorante da cui si vede tutto il lago di Bolsena. Si mangiano pezzi di focaccia nei boschi, ma certe volte succedono anche cose così. Si cambia letto ogni notte e non si sa ogni volta dove si dormirà la volta dopo. Nel pomeriggio pioggia e grandine. Notte in un convento di monache, dentro celle dalle porticine basse. Anche cena e colazione preparata dalle monache, la mattina dopo.

Mercoledì 15 giugno. Tappa da Montefiascone a Viterbo. Si aggiungono altre camminatrici. Una ha saputo dell’iniziativa mentre era in Belgio. Tiziano S., che ha la pelle molto chiara e facile a scottarsi, si è preparato un ingegnoso copricapo tipo Legione Straniera. Le vasche di acque sulfuree nelle campagne. Viterbo vista per la prima volta. Centro storico meraviglioso. Ritorno con Jonny.

Domenica 20 giugno. Mi unisco di nuovo ai camminatori. Notte in un convento di monache a La Storta. Troviamo nella camerata, in uno dei letti a castello, una norvegese di Oslo, che deve arrivare a Roma e che fa l’ultima tappa con noi. Io, che sono da sempre un insonne, quando durante il cammino riesco a buttarmi su qualcosa che assomiglia a un letto, dormo immediatamente, senza cambiare posizione fino alle 6 del mattino, quando ci si sveglia. Perché il corpo è stanco, ma la mente no.

Foto: Andrea Bernardini (www.vagabonding.org)

Lunedì 20 giugno. Tappa da La Storta a Roma. Non sapevo che Roma fosse circondata dalla jungla. Camminiamo per ore attraverso zone di vera e propria foresta, eppure siamo alle porte di Roma, se non già all’interno della città. Ci sono anche radure con distese lunari di cardi. Giovanni, Tiziano C. e io corriamo in via Asiago. Fahrenheit. Notte a casa di Fabio. Molta birra. C’è anche Immanuel, un ragazzo tedesco, che dorme sul pavimento. E’ partito a piedi da una piccola città della Ruhr, dopo una catastrofe personale e familiare. Ha già fatto molte tappe con noi, si raccomanda di avvisarlo l’anno prossimo, se faremo la Stella d’Italia, perché vuole esserci anche lui. Ha 23 anni. Gli è crollato il mondo addosso e la sua reazione è stata di caricarsi lo zaino in spalla e di spostare i cardini della sua vita. Partirà dopodomani da Roma per Tel Aviv e attraverserà a piedi anche Israele. Nei momenti di pausa, nei lettucci a castello dei dormitori, tira fuori un quadernetto e studia l’ebraico antico. Durante un’altra tappa mi hanno raccontato dell’incontro e della cena con un ragazzo russo di San Pietroburgo, che sta camminando a tappe di 50 chilometri al giorno con uno zaino enorme e che dorme all’aperto, per terra, nei campi, anche sotto la pioggia, coperto solo da un foglio di cellophane. C’è in giro della gente così, dalla quale c’è solo da imparare, che non incontreresti mai, non conosceresti mai, se non salti il fosso anche tu, se ti limiti a stare al sicuro, murato vivo nella tua accidia e nella tua presunta sapienza. Addio e abbracci a Immanuel, anzi Auf Wiedersehen.

Foto: Andrea Bernardini (www.vagabonding.org)

Martedì 21. Da Roma a Castel Gandolfo. Tappa lunga. Più di 30 chilometri che io e Giovanni allunghiamo ancora di alcuni chilometri, separandoci e ricongiungendoci ai camminatori prima e dopo l’incontro al Quirinale.  Entriamo in cinque. Uscieri in frac. Corazzieri. Noi sporchi, puzzolenti, sudati fradici, in scarpe e sandali da cammino, tre su cinque in calzoni corti. (“La avviso che ce ne sono tre in calzoni corti!” informa al telefono interno l’usciere in frac prima di farci salire, dopo i controlli dei documenti e il passaggio degli zaini al metal detector.) Giovanni è così stanco che si addormenta di colpo su un divano, in una saletta dove ci fanno accomodare in attesa del colloquio. Incontro cordiale con Pasquale Cascella, consigliere per la comunicazione del Presidente della Repubblica e direttore dell’ufficio stampa del Quirinale, che ci regala alla fine il tricolore della Presidenza della Repubblica. E’ presente anche Giancarlo Bortolani – se ho capito bene il nome – una figura discreta, documentata e intensa. Prima di salutarci piccolo scambio di frasi con quest’ultimo, che ci dà degli ottimi consigli per la Stella d’Italia che vogliamo fare l’anno prossimo e che mi accenna al suo amore fin dagli anni della giovinezza per Unamuno e dice di ritrovare lo stesso spirito in ciò che anima quello che stiamo facendo. Poi, con Giovanni, quasi 20 chilometri di Appia Antica, la strada più emozionante che mi sia mai capitato di vedere in tutta la mia vita. Poi ancora molti chilometri sull’Appia Nuova, camminando sui bordi della strada senza protezione e con macchine e camion che sfrecciano a un centimetro di distanza. Poi ancora chilometri di strada in salita fino a Castel Gandolfo. Io zoppico da una gamba, Giovanni dall’altra. Ma arriviamo. Improvvisa vista del lago. Notte in un convento di monache straordinariamente gentili e ospitali, dell’Opera Mater Dei. La fondatrice sepolta all’interno della Casa, in una stanza piena di fiori. Dialoghi con la superiora, peruviana, persona di grande sensibilità e acutezza. Ci hanno trattato bene, ci hanno ospitato dopo che diversi altri istituti religiosi di Castel Gandolfo ci avevano detto di no. Ci hanno fatto trovare dei letti addirittura con le lenzuola. Ci hanno preparato la cena nel refettorio e anche la colazione, la mattina dopo. Prima di partire, lunghi saluti e baci. C’è anche una suora di 91 anni, abruzzese, che ama cantare e che ci canta una canzone abruzzese e poi si scatena in “Vamos a la playa” e ci manda dei piccoli baci con la mano quando riprendiamo il cammino.

Mercoledì 22 giugno. Da Castel Gandolfo a Velletri. Costeggiamo il lago, risalendo lungo le pareti interne dell’antico cratere fittamente ricoperte di bosco. Incontriamo un antico romitaggio diroccato, seminascosto dalla vegetazione. Attraversiamo da parte a parte una frana che scende a strapiombo e che ha interrotto il sentiero. Sbuchiamo sotto i contrafforti del palazzo-fortezza di Rocca di Papa, sul cui portone c’è scritto in latino: “Io sono venuto a portare il fuoco”. Si continua a camminare verso Nemi. Io raggiungo Roma, riparto con Luisa, che ha già fatto otto tappe. Com’è lento il treno, dove devi stare passivamente seduto e ti sembra di non arrivare mai! Come siamo più veloci quando camminiamo e siamo noi a spostare il mondo e non il mondo a spostarsi attorno a noi che restiamo fermi! Credo che nessuno di noi si dimenticherà più di questa libertà, di questa avventura e di questa forte esperienza e delle altre persone -sconosciute fino a un momento prima- con la quale l’hanno condivisa. In questo cammino, oltre alle motivazioni generali che ci uniscono e che ci hanno fatto incontrare, ognuno ha anche le sue motivazioni personali e intime. Per quanto mi riguarda, a quello che mi resta ancora da fare come scrittore sento che mi devo preparare anche così, non solo spiritualmente ma anche atleticamente, spostandomi attraverso il mondo come si sono spostati gli uomini per milioni di anni, ricongiungendomi con qualcosa che è sprofondato in qualche punto segreto dentro di noi, che viene prima e che viene dopo. Arrivo a Milano. Con quella di oggi ho già fatto dodici tappe e mezzo, tra i 250 e i 300 chilometri. Mi ricongiungerò ai camminatori a Formia o a Sessa Aurunca. Farò ancora le ultime quattro o cinque tappe di fila, fino a Scampia e poi a Napoli. Prendo il metrò. Arrivo a casa poco prima di mezzanotte, con due zaini, uno per ogni spalla. Pappa. Cacca. Nanna.

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3 thoughts on “Telegramma

  1. Tiziano scrive:

    W nonno camomillo!

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