Le fragole e la Finlandia

A piedi dal Quirinale a Castel Gandolfo: il diario di tappa e le riflessioni di Emanuele Di Giacomo

Negli ultimi anni di Liceo, quando si cominciava a fantasticare di mitici viaggi estivi all’estero, le opzioni erano sempre le stesse: interrail e campi di lavoro all’estero. Tra questi ultimi, quello che puntualmente rispuntava fuori a intervalli regolari neanche fosse una leggenda metropolitana, era la raccolta delle fragole in Finlandia, a luglio, perché in Finlandia fa freddo e le fragole maturano più tardi. Quello che mi sono sempre chiesto è: primo, perché sempre la Finlandia e sempre le fragole, e non magari la Norvegia e le susine o le pere e l’Ungheria? Secondo, perché in Finlandia continuano a piantare fragole se non hanno abbastanza persone per raccoglierle? Finì che comprai un biglietto per l’interrail.

Così la raccolta delle fragole finlandesi è rimasta nella lista delle “cose strampalate da fare prima di morire”, insieme a “costruire un modellino di galeone con i fiammiferi”, “vivere in una comune per un po’ di tempo” e “comprare il pulmino della volkswagen da figlio dei fiori”.  (E comunque ho controllato su internet, cercano raccoglitori anche per quest’estate; se non altro la mia pigrizia non ha avuto effetti collaterali sull’economia agricola del Nord Europa).

Sicuramente in questa lista ha tutto il diritto di starci anche la bizzarra idea di andarsene a piedi da Milano a Napoli. Lo stanno facendo in questi giorni le Tribù d’Italia. Così io e Ottavia abbiamo deciso di approfittare del passaggio a Roma di “Cammina cammina” e ci siamo uniti al gruppo. Il nostro fisico da collaudatori di divani ci ha sconsigliato di avventurarci su una durata superiore ai due giorni, perciò li abbiamo accompagnati il 21 e 22 giugno  in questo percorso a piedi “per ricucire con i nostri passi un Paese che si vuole sempre più disunito e devastato”.

Il bello delle iniziative strampalate è che una volta che ci sei dentro non ti sembrano più così strane. E non si tratta solo di autoconvincimento, è che standoci dentro, alle cose, cominci a capirne il senso. Forse il senso potresti capirlo anche guardando il tutto sullo schermo della TV, ma sicuramente, standoci dentro, cominci a viverne il senso. Si trattasse  anche di costruire una nave con i fiammiferi, cominceresti a scoprire una geometria nuova, un piccolo universo di proporzioni che ti interrogano, movimenti che le tue dite neanche sapevano di poter fare e anfratti della costruzione così vicini eppure irraggiungibili. E così succede per il camminare. Camminare ti fa conoscere mondi nuovi, non solo fisicamente.

Se mi avessero detto che potevo andarmene a piedi dal Quirinale a Castel Gandolfo avrei risposto: forse. Ma andarci, a piedi, davvero, è diverso. Perché l’Appia Antica è un paesaggio meraviglioso di per sé (a proposito, se non ci siete ancora stati dovete assolutamente andarci, se siete pigri prendete un autobus, arrivate al punto d’accesso più vicino e fatevi un paio di chilometri a piedi, vi consiglio le tarde ore del pomeriggio). Fare questo tratto di strada insieme lo rende ancora più prezioso. Perché la cosa bella di “Cammina cammina” è trovarsi subito in un gruppo, ancora non hai imparato a memoria tutti i nomi e già senti quello strano senso di fratellanza che riesci a trovare solo sui sentieri di montagna o a un concerto del primo maggio. Non li conosci ancora ma già senti che avete delle cose in comune, e camminare a questo serve: a conoscersi.  A conoscere te stesso e a scoprire gli altri, a ricordare che c’è un pezzo di Italia che ha ancora voglia di mettersi in cammino e percorrere strade diverse. Che ha voglia di costruire, di fare, di andare avanti insieme. E capisci che si può fare cultura anche con i piedi.

L’altra cosa bella di “Cammina cammina” è che non abbiamo incontrato gente con nomi strani. La mia teoria antropologica da bar sulle persone con un nome bizzarro è che abbiano avuto dei genitori bizzarri e che quindi siano stati naturalmente esposti nella loro infanzia alle cose bizzarre. Il novanta per cento delle persone ha dei nomi “normali” e scoprire che a fare quest’esperienza strampalata erano persone semplici, e non il solito dieci percento di stravaganti,  è stato bellissimo. Non c’era nessuna Vanieska, Govinda, Milo,  Cipriana, Adea o Nazzareno. C’erano Antonio, Giovanni, Chiara, Tiziano, Marina, Marcello, Erica (l’accidentale scomparsa di una enne può considerarsi peccato veniale).

Io e Ottavia eravamo probabilmente i più impreparati al percorso, sempre in debito d’ossigeno e con dolori a muscoli che neanche sapevamo di possedere. Ci hanno detto che siamo stati sfortunati perché abbiamo iniziato con una tappa molto faticosa, ma secondo noi lo hanno fatto solo mossi da umana pietà. Ogni tanto, il piccolo obeso che è in me, li ha anche odiati. Tutto il resto di me li ha amati alla follia, per quanto si possa amare alla follia persone conosciute il giorno prima. Fatto sta che alla fine dei due giorni abbiamo aggiunto alla nostra lista personale di strampalerie “andare a piedi da qualche parte camminando per più di due settimane” subito dopo “recitare Amleto in svedese travestiti da puffi”. Fare cose strampalate aiuta a guardare il mondo da un altro punto di vista.

Le Tribù d’Italia saranno in cammino fino al 4 luglio, quando arriveranno a Napoli. Aggiungetelo alla vostra lista e fate un pezzo di strada con loro. Dopo sarete più stanchi, eppure vi sentirete molto meglio.

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